Quando vado in un aeroporto la cosa che mi affascina sempre è la quantità di persone che vedo arrivare o partire. Li guardo e cerco di cogliere quella piccola cosa che li smaschera. Qualche macchia nel vestito, una sbavatura nel trucco, un tic. Li guardo e mi immagino le loro storie, le loro vite. Cosa fanno quando vanno a casa, quali sono i loro interessi. Come sono come esseri umani? Quale sono i loro valori? Ci sarà qualche santo tra di loro, oppure un omicida?
C’è una ragazza sui social che posta brevi video delle cose più strane che vede quando prende la metro a New York. Gente che balla, che mangia, topi che scorrazzano tranquillamente, un uomo vestito da albero di Natale. Finisce ogni video guardando in camera e dicendo “interesting”.
Il film di Wim Wenders, Perfect Days, ci mostra le giornate di Hirayama, un gentile signore giapponese che, come lavoro, fa le pulizie nei bagni pubblici di Tokyo. Lo seguiamo per svariati giorni della sua vita che appaiono sempre uguali cadenzati da rituali fissi e precisi.
Si sveglia ogni mattina al suono di una persona che spazza sotto le sue finestre, piega il futon, si lava i denti nel lavandino, annaffia le piante che raccoglie in giro situate in una stanza illuminata. Si mette la tuta di lavoro e prima di salire sul furgoncino di lavoro, compra un caffè in lattina da una macchinetta automatica. Durante il viaggio verso il lavoro, ascolta vecchie cassette di musica della nostra generazione che vanno dagli anni 60’ agli anni 80’. Patti Smith, Otis Redding, Velvet Underground, e naturalmente Lou Reed.
Lo seguiamo mentre fa tappa in diversi bagni collettivi, bellissimi e curatissimi, e li pulisce con devozione e cura. Pranza in un bellissimo parco della città mangiando un tramezzino. Quando finisce il suo turno torna a casa e va nei bagni pubblici dove si lava e si rilassa nelle vasche comuni. Prende la sua bicicletta e va a mangiare in un locale che si trova in un mercato, per poi fare ritorno a casa per leggere qualche pagina di un libro e cadere addormentato.
Ogni notte sogna qualcosa, in bianco e nero, dove intuiamo che nonostante la sua routine, Hirayama ha una vita interiore complessa e profonda.
E poi, di nuovo, stesse cose. E di nuovo. E ancora.
Nei giorni che passano il protagonista incontra altre persone che ci permettono di vedere in lui un passato probabilmente non lineare, ma che ci fanno apprezzare ancora di più la sua personalità silenziosa.
Noi, guardoni della vita di Hirayama, ci troviamo ad osservare un uomo di mezz’età che vive cose semplici in modo semplice. Lo scandire dei suoi gesti e dei suoi riti, ci infondono una sensazione di piacere e acquietamento. Non è un monaco Zen in quanto fa anche cose che escono dalla sua zona di conforto, ma sicuramente ha trovato un sistema, un modo, per assaporare la vita profondamente. Vive anche i piccoli imprevisti della sua esistenza come se facessero parte di un unico flusso delle cose.
La scena finale, che ha valso all’attore Koji Yakusho il premio come miglior attore a Cannes, è di una bellezza struggente dove il volto del protagonista mostra tutte le sfumature dell’animo che può avere un essere umano.
Perfect Days è indubbiamente un film Zen, ma ci regala anche la sensazione che forse anche noi potremmo trovare il modo di viverci le nostre piccole quotidianità in un modo profondo e appagante.
Potremmo anche arrivare in un aeroporto e poi perderci in una città sconosciuta, guidati da un sorriso.
Bellissima recensione, Apuna. Io ho letteralmente adorato questo film, e l’ho visto da sola, un pomeriggio a metà settimana… Chi dice che nel film “non succede niente” sinceramente non riesco a capirlo.
Tu accenni a un sorriso, alla fine. È quello che Hirayama fa tutte le mattine rivolto al cielo, con ogni condizione meteo. Chapeau.
Un abbraccio,
Ross
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