Dovete capire che se scrivo qualcosa su Apuna non è perchè io mi senta un critico cinematografico o un esperto di libri, credo sia un modo sano e naturale di condividere emozioni e idee che penso potrebbero essere d’interesse a qualcuno. A volte scrivo solo per me, per togliermi qualcosa che gira al mio interno dopo aver visto o letto qualcosa.
Chiarito questo ho il piacere di parlarvi dell’ultimo prodotto artistico di Quentin Tarantino: “Once upon a time in Hollywood”. Senza alcun dubbio posso dire che Tarantino rappresenta nel mondo del cinema una svolta oserei dire epocale. Quando uscì nel 1992 “Resevoir Dogs” (le Iene in Italia) fu un terremoto. Tarantino, vero nerd del cinema dall’infanzia piena di pazzie intelligenti, portò una ventata diversa nel modo in cui il cinema viene raccontato. Da quel momento in poi si parla di “cinema di Tarantino”.
Il problema credo sia proprio qui. Visto la sua abilità e creatività ogni volta che esce una sua creazione le persone si aspettano sempre il capolavoro. Io, nel vedere il suo ultimo film, non credo di aver visto un capolavoro ma sicuramente ho visto un film di Tarantino e questo a me basta e avanza per parlarne bene ed essere stato contento di averlo visto.
Il film si svolge nel 1969 e questo è molto importante. Leonardo di Caprio (Rick Dalton) è un attore famoso che recita prevalentemente nelle serie televisive di quell’epoca. Vive un rapporto simbiotico di vera amicizia con Brad Pitt (Cliff Booth) suo stunt che lo aiuta e praticamente lo accudisce. Il film ha diverse linee di lettura. Seguiamo la crisi professionale e umana di Dalton quando un produttore di cinema (Al Pacino, e non dico altro) gli fa capire che deve cambiare genere e dimostrare di che pasta è fatto. Vediamo anche la vita veramente cool di Booth, che abita in una roulotte con il suo pit bull di nome Brandy. Sullo sfondo, chiave importante della trama, seguiamo Sharon Tate (la bravissima e bellissima Margot Robbie) moglie di Roman Polanski, che vive la jet-set di quell’epoca insieme alle sua fragilità.
Inutile dirvi che Tarantino, come è sua abitudine, riempie il film di spezzoni di programmi radiofonici dell’epoca, di bellissima musica e di luoghi storici della Hollywood di quei tempi. Ci regala Steve McQueen, Bruce Lee, e tante altre icone immergendoci nelle sua propria storia fatta di amore per il cinema. Ecco, “Once upon a time in Hollywood” è un dolce creato per noi da Tarantino. Il dolce è buono, ma a volte potrebbe essere un pò troppo carico e stucchevole. Il dolce forse è troppo grande, ma se stimi il pasticciere va bene anche così. Ho letto che si dice di questo film che è auto referenziato, pieno di citazioni e situazioni che forse risultano troppe alla fine, e che lui come al solito si atteggia a Dio. Si, forse si. Forse il film invece delle quasi tre ore poteva durare di meno, ma se ami il cinema, la recitazione, il mondo fatto di film e persone che hanno costruito un epoca, vedrai che ti piacerà.
E qui vengo al finale che è sicuramente la parte più importante della storia. Tarantino, quando presentarono la pellicola a Venezia, chiese per favore di non spiattellare in giro come finisce. Vi dico solo che se volete andare a vedere questo film documentatevi sulla triste storia di Sharon Tate e del massacro fatto dalla Famiglia Mason. La chiave è qui, e devo dire che vedere questo finale mi ha realmente emozionato. Non ci ho messo il pensiero o la razionalità, ma ho seguito probabilmente quello che Tarantino voleva farci vivere, e mi è veramente piaciuto tanto.
Ho letto che il suo prossimo lavoro sarà un film d’horror. Lo andrò sicuramente a vedere in quanto ho visto tutte le sue opere fino ad ora.
Grazie Mr Tarantino.
Grazie, Apuna, al contrario di te non amo per niente Tarantino (tre quarti dei suoi riferimenti culturali a me non dicono niente e – come dici giustamente – senza di quelli il suo cinema non sarebbe il suo cinema), ma grazie a questa bella recensione andrò a vederlo!
Rossella (L’arte della memoria)
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