In fondo, a volte, le cose accadono perché si colgono i richiami dei luoghi e delle persone. Dunque, c’è la giovane regista Maura Delpero che si porta dentro le montagne e le valli del nord. Muore suo padre e per ricordarlo usa il linguaggio muto delle immagini, dei colori e dei suoni. Va nel paese dove nacque il padre, Vermiglio in provincia di Trento, e in quei luoghi scava le radici di quella gente.
Crea dalla sua arte il suo secondo lungometraggio che appunto si chiama “Vermiglio”. Vince il Leone d’argento a Venezia e viene sorprendentemente candidato per l’Italia agli oscar per il miglior film straniero.
La storia narrata in “Vermiglio” si svolge verso la fine della Seconda guerra mondiale, ma il tempo in quei luoghi non viene dettato dalle cose degli uomini ma bensì dai desideri della natura.
La piccola comunità passa le giornate inerpicandosi nelle fessure del tempo dettato dalle stagioni. Seguiamo la famiglia Graziadei guidata dall’austero e severo Cesare (un bravissimo e magnetico Tommaso Ragno), maestro della scuola dove insegna agli abitanti come parlare in italiano, che per loro viene considerata comunque una lingua straniera. Cesare è di fatto un punto di riferimento del paese. Quando nel pomeriggio ci si ritrova nel bar del paese, mentre gli altri giocano a carte, lui fuma la sua amata sigaretta mentre legge il giornale.
La sua famiglia è numerosa, insieme ad Adele sua moglie, hanno sei figli, tre femmine e tre maschi, oltre ad altri fratellini morti per malattia. Si dorme insieme nello stesso letto perché nelle famiglie numerose si fa così. A volte in tre, a volte uno a capo e uno a piedi. Mia madre, la maggiore di otto figli, ci diceva sempre “chi si alzava prima si vestiva”.
Lucia, la figlia più grande (attrice rivelazione Martina Scrinzi), si sveglia e va a mungere il latte dalla vacca per la colazione. Si vede la pentola sul fuoco, si vede la madre versare il latte nelle tazze di ognuno, si vede la famiglia seduta a bere il latte caldo mentre mangiano pane e gallette.
Poi, in fila indiana, guidati dal maestro Cesare, tutti i bambini s’inerpicano sotto la neve per andare a scuola. Il figlio maggiore Giacinto pensa agli animali, mentre le altre figlie maggiori pensano ad accudire la casa.
Mentre la vita della comunità continua armoniosa come lo scorrere dell’acqua del fiume, la guerra, che è una presenza lontana e indefinita, fa arrivare due disertori dell’esercito italiano. Vengono nascosti dalla famiglia Graziadei in una capanna per gli animali. Uno di loro è Pietro Riso (Giuseppe De Domenico), soldato siciliano silenzioso e spaesato.
Il diverso non si riconosce e mette paura, e invece di cercare di comprendere, la comunità si lamenta e si nutre della propria ignoranza. Vengono definiti “traditori”, e Cesare tenta di farli ragionare dicendo che “se i soldati fossero tutti disertori e traditori non ci sarebbero guerre”.
Nasce una timida storia di amore tra Lucia e Cesare, che si sposano con il benestare del paese. Nasce una bimba, lui torna in Sicilia ad informare la sua famiglia, e poi…
Vermiglio è un bellissimo film pieno di immagini che sembrano dipinti sullo schermo, con prevalenza di blu, bianco e verde. La sceneggiatura della stessa regista è precisa e profonda. La condizione delle donne è cesellata e molto presente nella storia, e ci fa molto pensare agli eventi che accadono nell’Italia contemporanea. La fotografia bellissima è di Mikhail Krichman, ma la cosa che mi ha colpito di più è il suono. Il film ti culla con i suoni e i rumori. Acqua che scorre, il silenzio della neve, il vento tra le foglie, il muggito di una mucca, il respiro di un neonato, una ninna nanna cantata con amore.
A volte bisogna chiudere i cerchi nella vita per non soffrire troppo, bisogna andare lontani a cercare le risposte.
Il respiro di un neonato. Questo è Vermiglio.