The power of the dog

Siamo nel 1925 nel Montana. I due fratelli Phil e George Burbank sono proprietari di un ranch che alleva e vende bovini. Tra i due, George è il più tranquillo e in un certo modo più civilizzato. Va in giro in automobile, va in città per affari, e si veste sempre in modo abbastanza elegante. Dall’altro canto Phil invece è un cowboy a tutto tondo. Egli è a capo del gruppo di coloro che lavorano per i Burbank ed è un uomo rissoso, rumoroso, e molto maschilista. Il suo eroe e mentore è il famoso “Bronco” Henry che gli insegnò da ragazzo tutto quello che si dovesse sapere su come diventare un vero cowboy, e Phil si vanta di esserlo seguendo tutti i crismi di quel tipo di vita che vanno dal lavarsi poco al dormire vestiti.

Mentre portano il bestiame tra le valli per nutrirli, incappano in una locanda gestita dalla vedova Rose Gordon insieme al figlio Peter, ragazzo effeminato, sensibile, genialoide, e a tratti inquietante. Mentre Phil deride il ragazzo e lo ridicolizza davanti a tutti, George s’invaghisce di Rose e poco dopo la chiede in sposa. 

Rose lascia la locanda e va a vivere con i fratelli nella loro casa mentre Peter va a studiare lontano. Phil non fa nulla per nascondere la sua ostilità verso Rose e la porta all’esasperazione frantumando il suo fragile equilibrio. Al ritorno di Peter, Phil decide di cancellare l’ostilità verso di lui e decide di diventare il suo mentore. 

Peter accetta di buon grado gli insegnamenti del “selvaggio” Phil, ma non può nascondere il suo dispiacere per come Phil continui a trattare sua madre. Rose infatti, non fidandosi di Phil, tenta in tutti i modi di convincere il figlio a non accettare le proposte del nuovo mentore e di distanziarsi da lui. 

Phil insegna molte cose a Peter, iniziando da come si curano gli animali, a come si lavora la loro pelle fino a come comprendere le malattie pericolose che possono contrarre, come l’anthrax.

Tutto sembra a questo punto stabilizzarsi, ma come dice il titolo del libro di Thomas Savage dal quale è tratto questo film, non bisogna dimenticarsi del potere del cane. Il cane può a volte essere selvaggio e rabbioso, ma anche vivere immerso nella fedeltà verso qualcuno. 

La famosa e bravissima regista neozelandese Jane Champion, trasferisce il Montana a Otago, zona rurale e bellissima della Nuova Zelanda, e crea un film molto bello definito dai più “psico-western”. 

Il ritmo lento e avvolgente viene cadenzato dai movimenti dolci delle colline e dal vento lieve che crea sbuffi di sabbia.  La caratterizzazione dei personaggi è perfetta dandoci modo di riconoscere subito la divisione netta tra i cowboy, con le loro regole spietate dovute alla crudezza della natura, e la sofisticazione della civiltà con il suo ordine sociale. 

Oltre alla bellezza dei luoghi, il film esplode grazie alla recitazione del quartetto dei personaggi principali. Kirsten Dunst è una Rose matura e colpita duramente dalla vita. Accetta di buon grado la gentilezza di George soprattutto per amore del figlio, ma non riesce ad entrare in sintonia con la parte selvaggia della famiglia. Rose riesce a placare la sua ansia solamente quando suona il pianoforte che le permette di immergersi in un mondo lontano, dolce e colorato.

Jesse Plemons è il misurato George. Plemons ci ha abituati alla caratterizzazione di questo tipo di personaggi fin dai tempi della serie “Fargo”, per poi darcene conferma anche in “Breaking Bad”.  

Il figlio Peter è un bravissimo e giovane attore australiano Kodi Smit-McPhee che tratteggia molto bene le sfumature dei tumulti interiori del personaggio rendendolo nel contempo fragile e spietato. 

La miscela straordinaria tra sceneggiatura e regia si esprime comunque soprattutto grazie alla recitazione di Benedict Cumberbatch che riesce a darci, con il personaggio di Phil, una sfaccettatura di emozioni che solo pochi grandi attori riescono ad esprimere. Cumberbatch tratteggia un cowboy duro e apparentemente senza pietà salvo poi, attraverso sguardi e movimenti, farci vedere che anche dentro di lui vi sono onde di tumulto che hanno origini antiche e profonde. Una prova esaltante, forse la migliore mai vista dell’attore britannico.

Jame Champion, tolta la parentesi molto bella della serie televisiva “Top of the Lake”, ritorna alla regia dopo un decennio e ci regala un film che ha lo stesso sapore del suo capolavoro del 1993 “The Piano” che io reputo uno dei più bei film mai creati. 

Mentre nel film “The Piano” lo sfondo naturale veniva dato dal mare, qui abbiamo la sabbia e le colline del Montana. 

In entrambi i film vi è un pianoforte che le protagoniste femminili suonano. Lo strumento diventa il mezzo attraverso il quale le due donne riescono ad esprimersi e a librarsi sopra la crudeltà dei loro destini verso quello che è il loro desiderio di libertà che conquisteranno con l’aiuto delle persone che amano.  

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