Per chiunque pratichi o sia appassionato di boxe, uno dei tomi sacri è il bellissimo libro di Angelo Dundee, scritto insieme a Bert Randolph Sugar, che sostanzialmente è una autobiografia imperniata sulla sua vita come allenatore di boxe.
“My view from the corner (a life in boxing)” inizia con la gioventù di Dundee, figlio di italiani immigrati, e dei suoi primi passi nel mondo della boxe a Philadelphia. Come spesso accadeva in quei tempi, la vita era più semplice e a volte le carriere iniziavano per caso. Dundee, che non aveva mai praticato il pugilato, iniziò a fare la gavetta a New York seguendo le orme degli allenatori più esperti. Iniziò facendo i lavori più umili per poi lentamente cominciare a prendersi più responsabilità nel campo della boxe. La sua filosofia, uguale alla mia, è quella di “non dire mai di no” davanti alle opportunità.
Il libro narra principalmente le sue esperienze più conosciute che lo hanno portato ad essere uno dei pochi allenatori di boxe che appaiano, dal 1992, nella “International boxing hall of fame” inserendolo di diritto nella storia di quest’arte.
Nel libro seguiamo principalmente la storia dei suoi rapporti personali e professionali con tre dei più grandi pugili della storia.
Iniziamo con la sua lunga relazione con the greatest: Muhammad Ali. Il loro sodalizio ha fatto storia della boxe e nel libro Dundee non si risparmia in aneddoti ed episodi personali vissuti con il grande campione. Seguiamo il suo racconto degli incontri epici di quei tempi: “The Fight” primo Ali contro Fraizer”, l’epico “The Rumble in the Jungle” con Ali che si scontra con George Foreman, e per finire l’ultimo atto “The Thrilla in Manila” sempre contro Fraizer.
Dundee ci racconta dei piccoli trucchi del mestiere, del rapporto particolare che c’è tra “l’uomo all’angolo” e il pugile, e di quanto valore in quei momenti ha la relazione personale, quasi intima, tra il coach e l’atleta.
La seconda parte è dedicata alla sua esperienza con Sugar Ray Leonard e gli epici scontri con Marvin the Marvelous Hagler, Tommy Hearns e Carlos Duran. Ci narra la storia e aneddoti dei vari “come back” di Leonard e anche del famoso incontro “no mas” con Duran.
L’ultima parte è dedicata al ritorno sul ring, dopo 17 anni, di George Foreman chiamato “Big George”. Qui la storia diventa quasi poesia. Foreman racconta che durante il famoso match contro Ali tenutasi in Zaire denominato ormai da tutti “The rumble in the jungle”, ci fu una ripresa dove Foreman stava vincendo e sentì che aveva Ali in pugno. Proprio in quel round, Dundee gridò una frase ad Ali che lo risvegliò e lo fece resistere in piedi fino alla fine del round. Foreman in quel momento capì di che pasta fosse fatta Dundee e dunque quando decise, a 45 anni suonati, di ritornare sul ring scelse l’allenatore Italo-Statunitense come guida. Inutile dire che al suo ritorno divenne il più anziano campione mondiale dei pesi massimi WBA e IBF.
Dundee dedica un capitolo intero al famoso match del 1980 a New Orleans conosciuto come “No Mas” tra Leonard e Duran. Carlos Duran, chiamato “Manos de Piedra” (mani di pietra), era un pugile panamense famoso per il suo machismo e la sua crudeltà. Leggenda vuole che con un pugno mise a dormire un cavallo, ed era sempre aggressivo e violento offendendo chiunque soprattutto prima dei match. Durante il primo incontro tra Sugar Ray e Duran, questa tecnica psicologica divenne un arma in mano a Duran quando iniziò ad offendere pesantemente la moglie di Leonard. Il match fu straordinario ma l’approccio di Leonard, a detta di tutti, fu errato per causa della sua rabbia dopo le offese subite da Duran. Duran vinse ai punti con un verdetto, come spesso accade, discutibile.
La rivincita fu epica. Leonard mise in atto una strategia molto più consona alla sua tecnica pugilistica, e mise in seria difficoltà Duran. In pratica chiese la rivincita dopo pochi mesi dal primo match perso perché sapeva che Duran si sarebbe dedicato ai festeggiamenti per la vittoria. Infatti il pugile panamense si dedicò in quei mesi a grande mangiate e bevute presentandosi a ridosso del match in evidente sovrappeso.
L’incontro fu brutale e all’ottavo round Duran si girò alzando i guantoni e disse all’arbitro Octavio Meyran la famosa frase “no mas”. Leonard riconquistò il titolo, ma l’intero mondo pugilistico, sconvolto, si dedicò alla ricerca del motivo del perché Duran avesse abbandonato.
Ora dovete capire che nella cultura pugilistica chi abbandona viene chiamato un “dog”, nel senso che diventa una persona che perde il suo valore come pugile dopo essere salito sul ring. Per salire quegli scalini ci vuole coraggio, e non ci si può arrendere. Dice Dundee che il pugile è la persona più coraggiosa del mondo perché rischia sempre di fare una brutta figura davanti al mondo intero mezzo nudo e con i mutandoni indosso.
Duran narrò dopo il match che lui non aveva mai pronunciato quelle parole, ma disse all’arbitro la frase “no sigo” perchè aveva dei fortissimi crampi allo stomaco dovuto alle sostanze che ingerì per perdere peso in vista del match. La verità non fu mai svelata in modo chiara. Nacquero tante teorie al riguardo. Dissero che c’era stato una accordo sottobanco per fare poi la terza rivincita che in effetti ci fu ma dopo quasi 10 anni, e molti dissero invece che Duran era sotto psicofarmaci e dunque non aveva la forza di continuare per quel motivo.
Un bel documentario della catena ESPN intitolato appunto “No Mas” incontra entrambi i pugili dopo 30 anni dall’evento chiedendo loro cosa sia rimasto di quel match e cosa ne pensassero dopo tanti anni.
Il bello è che poi la catena televisiva fa prendere l’aereo a Sugar Ray Leonard portandolo a Panama dove, su un ring, incontra Carlos Duran.
Dopo un abbraccio fraterno i due iniziano a parlare ed esce fuori naturalmente la domanda che tutti aspettavano: “perché interrompesti il match?”. Gli occhi di Duran ci fanno stringere il cuore e confermano il rispetto che a lui è dovuto come uomo e come pugile.
Una bella storia in un mondo variegato abitato da uomini che vivono la vita in modo diverso dai più.