Il pugilato è il mio Ikigai. Certo, ci sono arrivato in età avanzata e non riuscirò ad assaporarne tutte le sfumature, ma così è.
La scrittrice Joyce Carol Oates, amante della boxe, scrive che questo sport è l’unico che può distruggere l’immagine di un uomo davanti al mondo. Si sale sul ring in due e probabilmente uno perderà. E se perde male, quell’uomo è come se perdesse se stesso.
Sempre la Oates dice: “La vita è come la boxe in molti particolari inquietanti. Ma la boxe è soltanto come la boxe”.
D’altronde ci nutriamo di vincitori più o meno bravi, più o meno capaci. Tutti sanno chi è Muhammad Ali oppure Mike Tyson, ma gli altri? La boxe non è solo quello, è molto, molto di più.
Siamo in Francia. Steve Laundry è un vecchio pugile con più sconfitte che vittorie. Quando finisce i suoi combattimenti, va a lavorare in un self-service dove si arrangia a fare di tutto. Ha una bella famiglia. La moglie Marion è parrucchiera, e ha due figli, Oscar e Aurore. La passione di Aurore è suonare il piano, ma per diventare brava le servirebbe un pianoforte a casa dove potrebbe esercitarsi tutti i giorni.
Steve si deve barcamenare per pagare l’affitto e le bollette, ma prende la vita a pugni e vuole guadagnare di più per affittare lo strumento musicale per sua figlia. In palestra un giorno conosce l’allenatore del campione Tareq M’Barek che cerca pugili per fare sparring. La paga è buona anche se fare lo sparring partner è massacrante.
Steve riesce a farsi scegliere e così può guadagnare di più e permettersi di prendere in affitto il pianoforte per Aurore. Con Aurore ha un bellissimo rapporto. Lei vorrebbe andare a vederlo durante un suo incontro, ma lui glielo ha sempre proibito. Le ha promesso che quando farà l’ultimo incontro della sua carriera la porterà con lui.
Il bel film del regista Samuel Jouy è cadenzato dalla faccia unica di Mathieu Kassovitz che disegna la storia di Steve usando gli spigoli del suo viso e la stanchezza del suo corpo. In fondo vivere è questo. Ammazzarsi di lavoro e fatica per le persone che ami, mettersi in gioco in luoghi dove puoi perdere o vincere, e chiamare tutto questo vita.
Steve sale sul ring per l’ultima volta nella sua carriera. Ha chiamato il suo vecchio allenatore per chiedergli di stare all’angolo. Inizia le sue ultime sei riprese. Sa come perdere ma forse, per l’ultima volta, può viversi in modo differente. Non meglio, non peggio, ma diversamente.
Inizia l’ultima ripresa. Lui si ferma e si guarda in giro. Gli ultimi 3 minuti. Gli ultimi 180 secondi. Gli ultimi pugni.
Vorrei arrivare alla fine così. Salire i tre scalini e sapere che mi mancano tre minuti e farlo portandomi appresso tutta la mia stanchezza e tutti i miei dolori, e poi sorridere senza denti, alzare i guantoni, e avanzare.