The Platform

In un tempo senza tempo una fantomatica “Amministrazione” gestisce The Platform (in Italiano “il buco”). Sembrerebbe un carcere verticale che parte dal piano zero e scende fino ad un piano il cui numero conosceremo solo alla fine del film.

Su ogni piano ci sono due “prigionieri”, i quali possono portare con loro un oggetto dall’esterno che terranno per tutta il periodo della prigionia.

Ogni piano ha un grosso buco rettangolare attraverso il quale passa, una volta al giorno, una piattaforma che si ferma per due minuti. La piattaforma parte dal piano zero dove c’è una fantastica cucina di altissimo livello, con tanto di chef, che cucina leccornie prese dalla lista dei desideri di ogni prigioniero.


L’uomo è carne ed ha bisogno di nutrimento e dunque i prigionieri si buttano sul cibo e ne mangiano quanto possono, ma questo inevitabilmente porta ai prigionieri dei piani più bassi a non averne.


Goreng (l’attore Ivàn Massagué) entra nel carcere perché alla fine della detenzione potrà avere un certificato che lo aiuterà a raggiungere un buon livello nella società. Entra come uomo civile e socialmente equilibrato portando con sé un libro: il Don Chisciotte della Mancia, simbolo della sua cultura. Si trova nel piano 48 dove Il suo compagno di cella è l’inquietante Trimigasi (Zorion Eguileor) che è dentro da molto più tempo di lui e che gli insegnerà i primi passi della sopravvivenza in quel mondo spietato.


Ad un certo punto del film si dice che la prigione in effetti è un grosso esperimento sociale.

Prova ne è che ogni due mesi tutti i prigionieri vengono addormentati e mischiati tra di loro. Questo vuol dire che chi si trovava ai piani alti senza avere nessun problema di cibo, rischia di trovarsi invece ai piani bassi dove la piattaforma arriva con solo piatti vuoti.


Il geniale film di cui sto parlando è “The Platform” (El Hoyo) di Galder Gaztelu-Urrutia e presentato in molti festival cinematografici. Dopo il premio del pubblico nel TIFF di Toronto, avrebbe dovuto essere proiettato nei cinema ma con l’avvento del coronavirus è stato comprato da Netflix che lo ha trasformato in un successo mondiale.


Gli sceneggiatori David Desola e Pedro Rivero hanno creato un film difficile da definire ma che ti fa vivere un’ esperienza unica. E’ sicuramente un film drammatico ma sembra più che altro un trattato socio/psicologico dettagliato e spietato su come sono strutturate le società umane.


Vedere The Platform è un’esperienza dura ma ne vale pienamente la pena.

A volte va a finire sul confine horror con scene quasi splatter, ma che danno una valenza reale a quello che sono i limiti di quello che noi chiamiamo “società”. Sostanzialmente il film parla di classi sociali, rivoluzione, solidarietà, ma soprattutto degli schemi che ci vengono proposti e che all’apparenza hanno regole rigide che vengono messe per tenerci a bada, mentre chi le ha create ha la libertà di infrangerle.

Nel periodo che stiamo vivendo, in quarantena, si vede il meglio e il peggio dell’umanità e vedere questo film sembra darti una cartina tornasole di quello che gli uomini riescono a creare e distruggere.

La durezza del film purtroppo non è caricaturale, bensì proviene come detto dall’essenza dell’essere umano che ha bisogno di cultura ed empatia per creare qualcosa simile ad una società più giusta ed equilibrata in lotta però con la naturale tendenza di sopravvivenza dell’essere umano quando messo in condizioni estreme.

E’ un film durissimo che ti attanaglia, ma vale la pena vederlo.

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