“The Great Hack” è un interessantissimo documentario prodotto da Netflix e creato dai due registi Karim Amer e Jehane Noujaim. Quando l’ho visto ho pensato che fosse il naturale seguito del libro di Baricco di cui vi ho parlato in un altra recensione. Baricco, oltre ad analizzare quella che chiamiamo la rivoluzione tecnologica, sostiene che questa è comunque molto recente e per questo motivo potremmo trovarci in situazioni pericolose per tutti, in particolare se le potenzialità del The Game fossero usati in modo oscuro.
Il documentario ci racconta della famosa crisi della Cambridge Analytica, società di analisi politica con sede nel Regno Unito, e delle sue relazioni con il colosso Facebook. I protagonisti, eroici direi, che hanno iniziato quella che ormai è diventata una valanga vengono seguiti dal documentario per farci capire che le persone normali possono fare grandi cose se vengono lesi i loro diritti e usando l’unica arma che hanno: la protesta e la difesa dei loro diritti.
Colui che ha iniziato tutto è stato David Carroll, un professore universitario statunitense, che una volta saputo che avevano usato i suoi dati in modo improprio, ha richiesto al Governo del Regno Unito informazioni riguardanti il modo in cui li avessero usati.
Altra vera eroina è la giornalista del The Guardian, Carole Cadwalladr, che ha seguito il fiuto e l’intuito di un vero segugio per arrivare a smascherare l’intero schema.
Nel interessante lavoro conosciamo anche due “whistle blowers” Christopher Wylie e l’inquietante Brittany Kaiser. Grazie a la perseveranza di queste persone si è venuto a scoprire quale sistema fu usato da Cambridge Analytica per muovere voti verso Trump, durante le elezioni del 2016 oltre ad aiutare il loro stesso governo per la Brexit.
Brevemente vi spiego come funzionava il meccanismo.
Il politico va da Cambridge Analytica per chiedere aiuto nella vittoria delle elezioni.
Per fare questo loro devono avere accesso ai metadata degli elettori. Naturalmente sono riusciti a farlo perché tutto quello che a loro occorreva lo hanno preso da Facebook. Hanno poi mandato a tutti gli iscritti un piccolo questionario, semplice e facile da compilare, per analizzare ogni elettore e determinare quello che loro hanno chiamato “la personalità”. Chiaro che i loro sforzi non vanno verso coloro che hanno le idee chiare, ma bensì verso quelli che non sanno ancora come votare. Gli elettori indecisi, in quasi tutte le democrazie, sono praticamente quelli che decidono alla fine chi vince. Dividono poi gli elettori in settori, dipendendo dallo Stato americano dove vivono, e iniziano a bombardarli di pubblicità, video, foto, che innalzano le loro paure e instillano rabbia verso gli avversari. Come vedete, il gioco è fatto. E Trump è presidente.
Inutile dire che il rischio che in futuro non esistano più elezioni veramente democratiche è altissimo, e questo è il motivo perché il senato degli Stati Uniti e una commissione del governo Inglese hanno aperto diverse inchieste.
Stiamo attenti perché questo coinvolgerà noi tutti senza se e senza ma.
Dobbiamo fare solamente una cosa: lottare, come stanno facendo i sopracitati, affinché i nostri dati che si trovano nel web siano considerati patrimonio personale di ognuno di noi. Patrimonio dell’umanità.
Come vedete un mondo interessante e molto attuale che, almeno nel mio caso, si è ulteriormente chiarito grazie al libro e al documentario che ho letto e visto.