Quando qualche mese fa a Madrid ho pagato il biglietto per la mostra “Auschwitz. Not long ago. Not far away” non lo sapevo. La gentile ragazza mi porse l’audioguida e mi disse che “la visita intera durerà circa tre ore”. Entrai nella prima delle tante sale e sulla parete vedo una grande foto di una montagna di scarpe ammucchiate. La foto è in bianco e nero, ma c’è una piccola scarpa di bambina che si staglia perchè è l’unica colorata….di rosso. In mezzo alla sala vuota c’è una teca di vetro, e dentro la teca c’è la scarpa rossa. Basterebbe questo. Basterebbe.
La mostra si divide in quattro settori. Il primo è “L’incontro”, il secondo “prima di Auschwitz”, il terzo settore è “Auschwitz” e l’ultimo è “dopo Auschwitz”. Quando la voce narrante mi parla della teoria riguardante il fatto che “illuminati” studiosi volevano portare tutti gli Ebrei del mondo in Madagascar, ti mettono davanti la cartina dell’isola Africana. Quando ti narra delle baracche dove dormivano i prigionieri, ti trovi davanti a una baracca in dimensioni reali e ci puoi entrare dentro per vedere i letti e le latrine.
Dietro a me c’è una scolaresca che si comporta in modo diverso da una tipica classe di giovani ragazzi. Nessuno scherza, nessuno parla. Sparsi sui muri della mostra ci sono degli schermi che mostrano filmati tratti da documentari d’epoca. Ci fanno vedere anche delle interviste a persone che sono sopravvissute e che ci raccontano con parole semplici quello che passarono in quel luogo, ma in realtà parlano di più con gli occhi e con le mani.
La cosa che mi colpisce di più è che i nazisti, per sterminare i loro prigionieri, usarono l’inganno. D’altronde quegli animali non fanno parte della razza umana e dunque non poterono neanche affrontare le loro decisioni e responsabilità.
Arriviamo nel momento storico quando i prigionieri furono ammucchiati sui treni come bestie e portati ad Auschwitz. Furono portati appunto con l’inganno. Pensavano di andare in un campo lavoro per essere addestrati per poi essere usati nelle industrie belliche per costruire armi per la Germania.
Famiglie intere presero quel poco che avevano e misero tutto nelle valigie cercando di portare le loro vite con loro. Svolto un angolo e mi trovo in un lungo corridoio. Sui lati del corridoio ci sono fotografie giganti che mostrano i treni che arrivano nella stazione del campo di concentramento. Si vedono chiaramente i volti degli anziani, le valigie, una vecchia che mangia un panino, un bambino che guarda smarrito attaccato alle gonne della madre.
Il corridoio è pieno di valigie. Ci sono teche di vetro con gli oggetti più comuni e personali. Occhiali, un pettine, una spazzola da barba, un libro, un orsacchiotto, uno scolapasta.
La scolaresca si ferma, una ragazza inizia a piangere. Tutti i suoi compagni di classe si avvicinano a lei e iniziano ad abbracciarla. Un abbraccio di gruppo pieno di dolore.
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Berlino. Piove. Andiamo a vedere il Berliner Unterwelten che sarebbero i rifugi antiaerei per la popolazione civile. Sapete tutti che Berlino fu tra le città più bombardate durante la seconda guerra mondiale e usarono tutti i luoghi possibili per costruire bunker e rifugi anti-aerei per mettere in salvo i cittadini. Visitiamo la Unterwelten che si trova nella stazione della metro di Gesundbrunnen. Inziamo a scendere nei locali angusti e la guida inizia a raccontarci la storia e le emozioni delle persone che usarono quel rifugio. Hitler, quando arrivò al potere, iniziò a preparare la nazione alla guerra e uno delle cose che fece fu appunto quello di organizzare piani di fuga e protezione per la popolazione. Nei rifugi poterono entrare donne, bambini e anziani. Se eri ebreo, gay, rom o straniero non ti era permesso entrare. Gli uomini naturalmente non entravano perchè erano fuori a combattere. Ci fa vedere il soffitto e ci dice che per come è costruito non avrebbe retto ad un bombardamento pesante, ma naturalmente questo non venne detto alla popolazione. E ritrovo qui la stessa cosa: l’inganno.
Ci sediamo in uno stanzone sulle panche di legno dove si sedevano le famiglie durante i bombardamenti. Ci sono valigie dovunque perchè le famiglia, con la paura che le loro case sarebbero state distrutte, si portavano le loro vite nei bunker. Si sedevano e mettevano 3 candele nella stanza. Una per terra, una sulla panca, e una in alto vicino al soffitto. Quando la candela per terra si spegneva, era il momento di prendere i bambini in braccio perchè non c’era più ossigeno. Quando la candela sulla panca di legno si spegneva, si alzavano in piedi e uscivano dalla stanza altrimenti sarebbero morti asfissiati.
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I prigionieri uscivano dai treni e furono messi su due file. Donne e bambini da una parte, uomini dall’altra. Un ufficiale, fermo in piedi, usava un bastone per selezionare le persone. Da una parte chi poteva essere utile, dall’altra no.
“Venite qui, svestitevi così vi facciamo una doccia che vi disinfetterà e poi quando uscite vi vestiremo e inizieremo l’addestramento per il vostro lavoro”
Inganno.
Entravano. I bambini e i vecchi morivano prima perchè venivano schiacciati dai più forti che cercavano aria verso il soffitto. Dopo che la camera a gas era di nuovo praticabile, alcuni prigionieri trascinavano i cadaveri e li buttavano nelle fosse comuni non prima di togliere dalle loro bocche eventuali denti d’oro.
Il mio corpo trema, la lacrime escono dai miei occhi. Un onda empatica entra nel mio corpo e mi sembra di vivere le sensazioni che i prigionieri vissero una volta scesi dal treno.
Che dire, una mostra che posso definire la più bella e importante che io abbia mai visto. La mostra è itinerante e spero che arrivi nel nostro paese perchè chiunque si fregia di essere un umano la deve vedere.
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Sipario.