Oscar 2018

Ed eccovi una carrellata di film usciti durante il periodo dell’Oscar e dei quali ho il piacere di raccontarvi qualcosa.

Inizio con “I, Tonya” ottimo film di Craig Gillespie e scritto da Steven Rogers. E’ un mockumentary, nel senso che è diretto come se fosse un documentario, ma naturalmente non lo è. Narra la storia di Tonya Harding, la famosa pattinatrice Statunitense che onorò il suo paese partecipando alle Olimpiadi invernali del 1992. Poco tempo dopo la sua partecipazione fu squalificata a vita in quanto aveva contribuito al ferimento della sua amica/rivale Nancy Kerrigan. La storia fece molto scalpore quando accadde, ma il film in modo intelligente e a volte divertente, ci narra la storia di come gli eventi della sua vita portarono a quella situazione. Ci fa vedere la passione di Tonya per il pattinaggio iniziato all’età di tre anni e gli allenamenti duri ma pieni di passione fino a diventare una stella del pattinaggio artistico. Sotto la guida della spietata madre divenne sempre più brava e riuscì ad esprimere la sua tecnica sublime diventando un icona del pattinaggio mondiale. Purtroppo il passato duro e difficile portarono Tonya a esprimersi “fuori dal coro” e questo non l’aiutò di certo. La scintilla che fece scoppiare il tutto fu la sua relazione con il discusso marito Jeff Gillooly e del suo delirante amico Shawn Eckhardt. La ragnatela del suo difficile passato la rese prigioniera e anche se il pattinaggio rende liberi facendoti librare nell’aria, Tonya fu vittima delle sue radici. Un film godibile e ben girato, interessante e mai noioso. Naturalmente il motivo di tutto questo è anche dovuto agli ottimi attori del film. La protagonista Tonya ci viene regalata da una Margot Robbie che da tempo ci ha mostrato che la sua bellezza va a pari passo con la sua bravura. La Robbie, che partecipò anche nel film di Scorsese “The wolf of wall street” è esplosa con la sua caratterizzazione di Harley Quinn nel film cult “Suicide Squad”. Nota di merito va data a Allison Janney, attrice di lunga data, che in questo film ci regala una LaVona Golden, madre spietata e durissima di Tonya, che si dimentica difficilmente. Non a caso ha vinto l’Oscar quest’anno per la sua performance.

Ho visto anche “Call me by your name” di Luca Guadagnino e so di deludere molti di voi, ma non mi ha emozionato. Girato nella bellissima zona del Cremasco, narra di una storia d’amore tra un ragazzo di 17 anni ebreo italoamericano, Elio Periman, e l’assistente Americano ventiquattrenne Oliver. Il giovane attore Timothée Chalamet, candidato per l’oscar per il ruolo di Elio, ci regala con bravura quel periodo che non tutti abbiamo vissuto della nostra giovinezza piena di confusione sessuali e forti slanci emotivi rendendoci partecipi dei suoi dubbi. La storia d’amore tra i due, rito d’iniziazione per il giovane Elio e non si sa cosa per Oliver, è l’unico perno del racconto ben scritto dal premio oscar per la sceneggiatura 2018 James Ivory. Dunque ben recitato, ben scritto, ben girato, bei panorami, ma il film non mi ha coinvolto. Meditandoci sopra alla fine forse ho capito che l’ho vissuto come i due genitori di Elio nel film, che alla fine risultano i veri protagonisti del racconto. Il padre Mr. Perlman (Michael Stuhlbarg che ci sta abituando a ottime performances) e la Sig.ra Perlman (Amira Casar) sono due upperclass intellettuali della cultura ebraica statunitense. Lui, professore di archeologia, si accorge delle pulsioni del figlio e insieme alla madre asseconda la sua ricerca come è giusto che sia considerandolo come qualcosa di naturale che fa parte della crescita di tutti noi. Come molti sul web, sono rimasto colpito dal discorso finale che il padre fa a Elio, ragazzo distrutto dall’amore appena finito, e che è difficile da dimenticare e non amare. Sono parole sagge e piene d’amore, parole sentite di un padre a un figlio, parole che vorremmo tutti usare mentre parliamo ai nostri di figli:

“Come vivi la tua vita sono affari tuoi”. “Ricorda, i nostri cuori e i nostri corpi ci vengono donati una volta sola. E prima che tu te ne renda conto, il cuore si logora, e quanto al tuo corpo, a un certo punto arriva il momento in cui nessuno lo guarderà, né tanto meno vorrà avvicinarvisi. Adesso c’è il dispiacere. Il dolore. Non ucciderlo, perché assieme ad esso se ne andrebbe pure la gioia che hai vissuto”.”Potremmo non parlarne mai più”, il padre conclude. “Ma spero che non ce l’avrai mai con me per averlo fatto. Sarò stato un padre tremendo il giorno in cui volendo rivolgerti a me considerassi la mia porta chiusa, o non sufficientemente aperta”.  

Questa parole meritano tutto il film.

E sono arrivato a  “The shape of water”, meritato vincitore degli oscar più pesanti: miglior film e migliore regia. Sull’onda di La La Land, l’Academy ha premiato una bellissima favola del regista Messicano Guillermo del Toro che ci ha abituati da tempo ai suoi film che vivono sulla frontiera tra favola e horror, amore e paura. Narra del Toro che quando andò dai produttori pensava che lo avrebbero cacciato via. Dice: “mi presentai con una favola d’amore immersa nei tempi della guerra fredda tra un mostro acquatico e una ragazza muta e rimasi sorpreso quando accettarono la scommessa”. Il film, del quale non vi racconterò nulla per non rovinarvelo, è molto bello. Gli attori sono superlativi, in particolare la ragazza delle pulizie Elisa Esposito (una bravissima Sally Hawkins) muta, sognatrice e grande ricercatrice dell’amore. Un bravissimo Michael Shannon conferma la sua bravura come il cattivo Colonnello Strickland, ma come spesso accade i film si reggono sui personaggi collaterali. In questo abbiamo l’amica di Elisa, Zelda Fuller, regalataci da Octavia Spencer che conferma anche qui di essere una grande attrice capace di regalarci diversi toni emotivi con un solo sguardo, e Giles, un bravissimo Richard Jenkins, attore che ci ha regalato con la sua recitazione l’anima di molti bellissimi film ma che è sempre rimasto un po nell’ombra.

In fondo l’amore è una scarpa rossa che fluttua nel mare.

Last but not least, non potevo esimermi nello spendere due parole sul film vincitore dell’oscar come migliore film d’animazione e migliore canzone originale. “Coco” è un bellissimo e commovente viaggio del bambino Messicano Miguel nel suo passato e nell’amore della sua tradizione famigliare. Sapete tutti che forse la festa più sentita dai Messicani è la “Fiesta de los muertos”. In questa festa si crede che i morti passino il ponte tra le due dimensioni e vadano a trovare i componenti vivi della loro famiglia. I cimiteri e luoghi di culto sono pieni di fiori e di cibo per ingraziarsi le anime dei morti che vengono pregati e ai quali si regalano musica e gioia. L’amore di Miguel per la musica, che nella sua famiglia è proibita, lo porta magicamente a passare lui nel mondo dei morti dove incontra tutti i suo antichi famigliari conosciuti attraverso i racconti della madre e della nonna. La storia è piena di colpi di scena, e la gioia dei suoi colori e delle sua musiche rimangono sulla tua pelle per giorni. Inutile dirvi che il film è prodotto dalla Pixar, con regia di Lee Unkrich e Adian Molina. Molti attori messicani ormai famosi negli States hanno partecipato alla pellicola dando le loro voci ai personaggi, calibri come Gael Garcia Bernal e Benjamin Bratt. Si ride, si balla, e gli occhi si riempiono di colori e amore con questo capolavoro che merita assolutamente di essere visto.

 

 

 

 

2 pensieri riguardo “Oscar 2018

  1. Mi trovo molto in sintonia con il tuo giudizio in merito a film. Coco l’ho trovato magico, così come a suo tempo Il Libro della Vita. Mi ha incuriosita invece il tuo commento a The Shape of Water e credo che sarà il prossimo film che andrò a vedere.

    "Mi piace"

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.