Qua e là, New York again

“Are you a seaman?” mi chiede il poliziotto alla frontiera di JFK. Mi chiedi se sono un marinaio? Questo mi mancava. Al nastro dei bagagli c’è un ragazzo il quale lavoro è quello di girare le valigie in modo che chi le prende abbia subito a portata di mano il manico. L’albergo è nuovo, ricostruito. Molto trendy, a Midtown. Mi faccio una doccia e vado ad incontrare un vecchio amico a University Square. Arrivo e mi trovo in una piazza non grandissima, con una fontana senz’acqua e il prato pieno, ma pieno di persone.

La giornata è bellissima e sono tutti fuori mezzi nudi a prendere i primi raggi di sole. Vista la quantità di giovani guardo meglio e mi accorgo che la piazza è nel centro nevralgico dei tanti edifici che compongono la ricchissima e fichissima Università dello stato di New York. Stiamo in Greenwich Village dunque tizi strani, un po’ alternativi…. canne, birre, sorrisi. Resisto cercando di vincere il jet lag. Come sempre, vince lei. Mi addormento esausto e alle 4 sono sveglio. Non so quante volte sono venuto qui a New York, questa volta stranamente mi sento di casa.

Come spesso accade quando sto a New York per una riunione, vado nella sede di lavoro a piedi, e mi ritrovo in mezzo alla marea di questi tizi che hanno molto poco in comune con noi. Ormai girano tutti con le cuffiette, e parlano al telefono. Il problema che spesso nascondo le cuffiette sotto cappelli o altro, e allora sembrano veramente degli scemi. Ma la cosa che mi affascina di più, e il loro rapporto con il cibo. Ininterrotto, esagerato, insicuro. Devono avere sempre qualcosa in mano, come una coperta di Linus. Li vedi la mattina, cellulare in una mano, bustina con il cibo, bicchiere di carta con caffè e tappo di plastica. Ho visto un tizio, credetemi che questo è vero, che stava facendo jogging e aveva in mano il cibo e la bevanda!!

È una città confusa, sporca, ma nel suo genere ordinata. Un caos ordinato dove tutto è ammesso. Tutto intorno è pieno di tulipani, molto belli e colorati, che contrastano con il grigio delle pareti e delle strade. A Times Square c’è un tizio orientale vestito da donna con cappelletto e rossetto. Viene ripreso da una troupe, e il suo vestito è rosa. Ma tutti passano. Gli danno uno sguardo e vanno via. La città del “sti cazzi quello che succede”. Stessa profonda sensazione che mi ha dato Cairo, ma il loro “sti cazzi” viene da un’abissale bisogno.

Fotografo il culo di una ragazza che va in giro nuda nella piazza. Sulle chiappe ha scritto “N” e “Y” . Mi grida dietro che vuole la mancia. I piedi mi fanno male ma vengo preso da suoni e colori che accendono la mia voglia di vedere.

La mattina dopo davanti al palazzo delle Nazioni Unite stanno facendo un volantinaggio. Hanno scritto una lettera aperta a Mr. Ban Ki Moon visto che UN sta facendo una mega riunione sulla lotta contro il traffico della droga nel mondo. Vorrebbero che si togliesse la “protezione legale” alle droghe, come ai tempi del anti-proibizionismo dell’alcol. Il gruppo di ragazzi e ragazze che fanno volantinaggio sono tutti vestiti come cittadini degli “ruggenti anni 20” . Mi sembra di camminare in un film di Scorsese. Sono vestiti e truccati e urlano come gli strilloni dando i volantini a tutti i delegati.

Una mattina entro in un diner kosher per mangiarmi i pancake. Sono l’unico che non ha il kippah e mi sento strano. Mi guardano strano. Un tizio sta parlando al cellulare e mi guarda, e guarda il mio zaino. Io finisco i pancake con tanto ma tanto sciroppo d’acero.

Mangio panini lunghi ed elaborati, mangio insalate che sanno di tutto fuorché insalate, vado a mangiarmi un hamburger da “five guys” che non può mancare.

Vedo i turisti e non mi sento come loro, sono diverso. E guardo i “new yorkers” e non sono come loro. Ma chi cazzo sono?

Durante il viaggio mi sono portato due amici, Carofiglio e Romagnoli. A Fiumicino mi sono comprato due piccoli libri scritti da loro. Romagnoli ha scritto un saggio sull’essenza del viaggio. Viaggiare con uno zaino solamente, portarsi il minimo, racchiudere se stesso in un piccolo contenitore. Poco di te. Meglio per tutti. Zen. Magari.

Vado con un mio amico a vedere una vera partita di baseball allo stadio dei New York Yankees!!. New York ha due squadre, i Mets e gli Yankees. Ora sembra che gli Yankees siano tipo la Juve delle squadre di calcio italiane: la squadra più ricca e che ha vinto più di tutte. Lo stadio è nuovo e moderno. Bello e funzionale. Dovete sapere che la partita di baseball, che dura almeno 4 ore, è uno spettacolo quasi televisivo più che sport. Ci sono inni, marcie, colori, urla, e fischi. Ci sono ristoranti dove si può mangiare tutto. Sushi, Pizza, hamburgers, hot dogs, pasta, indiano, cinese, …sì tutto. Io, naturalmente, mi mangio un hot dog con birra. E anche questa casella l’ho barrata. Siamo rimasti quasi 3 ore e avrò visto forse 40 minuti di partita, perché il resto è SPETTACOLO. A un certo punto inquadrano un bel signore di colore con sua figlia in braccio. È un reduce della guerra in Iraq. One of our boys. In suo onore tutto lo stadio si alza in piedi e si gira verso la bandiera con la mano sul cuore. E parte l’inno. E penso che sono un popolo unico. E anche io mi alzo con la mano sul cuore. Ci sono dei posti che invece di avere le sedioline di plastica hanno delle gratinate di cemento. Sono i “ bleachers”  che letteralmente sarebbe “ candeggiatori” . In pratica sono i posti peggiori, generalmente sempre al sole…..da qui i poveracci che si “schiariscono” al sole. Unico vantaggio: costano pochissimo.

Ho visto, lo giuro, ho visto….un uomo che era seduto a mangiare. Aveva in mano un grosso bicchiere di plastica con dentro suppongo una coca cola. Invece del solito tappo di plastica, aveva una specie di piatto concavo dove, dal centro, usciva una cannuccia. All’ interno del piatto aveva dei nuggets di pollo fritto e patatine fritte. Geni. Geni puri.

È la notte che preferisco, quando escono i derelitti che si mischiano con le persone eleganti che vanno a cena. E mi perdo nelle luci e non trovo punti di riferimento. Mi sento come quelli nei film che vengono trovati casualmente e non si ricordano chi siano e da dove vengono. Non sarebbe male.

In aereo, al ritorno, inizio a vedermi Youth di Sorrentino. Un film strano, lento, profondo. Onirico…..e mi addormento…poi mi sveglio…e mi addormento di nuovo con le immagini di acqua e montagne che vengono dal film. In una scena Michael Caine parla con un giovane attore che gli dice che sta leggendo il filosofo Novalis.

Cita la frase dalla sua poesia, “ anelito di morte”  che finisce:

Non ci attraggono più terre straniere,

vogliamo tornare alla casa del Padre

 Forse sì, è una lotta infinita in avanti contro le correnti, solo per ritornare da dove siamo venuti. Mi sveglio e la Signora anziana vicino a me desta la mia attenzione. Mi chiede se non ho l’ impressione, come lei, che l’ aereo stia fermo. Guardo la cartina, stiamo sopra la Francia.

Fermi. Immobili, sorseggiando un caffè a migliaia di piedi d’ altitudine.

Fermi.

Per tornare indietro.

 

 

 

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