The Revenant, Creed

Quando vidi il trailer di The Revenant capii che dovevo andare a vederlo. Troppo estremo, troppo nelle mie corde. E allora appena possibile ho coinvolto i miei amici “ pop corn e coca cola”  e li ho portati dal Sig. Iñárritu e ci siamo immersi in questo film fantastico. La storia è semplice. Hugh Glass (il mito Leo) fa da guida a un gruppo di trapper o cercatori di pelli. Nel gruppo c’è il cattivo John Fitzgerald (Tom Hardy) che a un certo punto fa incazzare Di Caprio. Dialoghi minimi, fotografia bellissima basata su luce naturale, e scene mozzafiato. L’oscar in effetti andrebbe ai posti dove è stato girato il film, Canada, Stati Uniti e Argentina che sono di una bellezza sconvolgente. In quei luoghi il freddo è freddo, gli animali selvaggi sono selvaggi, e l’uomo rimane quello che è: un piccolo essere che ha però una capacità di sopravvivenza straordinaria.

Sapete tutti dell’ attacco dell’ orso a Di Caprio, scena fatta molto bene e molto realistica, ma in effetti il film inizia proprio da quel momento. Di Caprio Glass, ridotto una specie di hamburger umano, viene lasciato indietro dai suoi e tre di loro rimangono con lui per accompagnarlo verso la morte. Fatto sta che succedono degli episodi brutti, e Di Caprio rimane da solo, mezzo morto in mezzo alla neve. Di Caprio nel film ha recitato con ogni singola cellula del suo corpo. Quando tenta di alzarsi dal suo lettino di stecche ferito nel corpo e nell’ anima, vediamo persino la bava della sua bocca sforzarsi nella sua sete di vendetta. La sua resistenza in un ambiente a dir poco ostile, lo fa assurgere quasi a simbolo dell’ umanità. La stessa umanità che poi sappiamo tutti, ha esagerato nella sua visione e ha forse rovinato irrimediabilmente proprio la madre che ci ha creati. Il film è crudo come il fegato di un bisonte, estremo e violento, ma forse appunto per questo ci affascina e ci avviluppa abbracciandoci con le visioni bellissime di laghi e boschi, per poi ogni tanto scuoterci e darci qualche schiaffo in faccia.

Ho letto che alcuni attori non ce l’ hanno fatta a lavorare in condizioni estreme e se la sono svignata e ci credo, ma questa è la vera magia del cinema. Raccontare storie belle e profonde girate dentro una stanza o in un immenso bosco Canadese. Poi se hai un regista matto come Iñárritu il cerchio diventa quadrato e vedi il respiro condensato nel freddo e ti si congelano i peli nel naso.

Due parole due su Di Caprio. Sapete che sono un suo tifoso da tempo e questo Oscar lo ha meritato non fosse altro per il cammino artistico che ci ha donato. Colgo comunque l’ occasione per iniziare un’altra campagna: Oscar a Tom Hardy!!!. Ho visto moltissimi film con questo giovane e bravissimo attore inglese e ho avuto modo di apprezzarne la sua bravura e versatilità. È stato bravo persino in Mad Max, e mi fermo qui.

 

E poi ho visto Creed. E alla fine ho pianto.

Come nell’ ultimo Guerre Stellari, Creed è la nostra, la mia storia. I pugni di Rocky Balboa sui quarti di bue, “ Adrianaaaaaaaaaaaaaaaaa” , la sua corsa sulle scale del Philadelphia Museum of Art ormai chiamati “ Rocky steps”  fanno parte di noi. Il film è intelligente e dolce. Naturalmente ricalca tutte le storie dei film di Rocky, ma qui ci troviamo davanti a una realtà diversa. Rocky Balboa, ormai vecchietto e malandato, gestisce un ristorante italiano pieno di foto della sua storia da pugile. Nella storia parallela troviamo un giovane di colore con fisico da paura che si chiama Adonis Creed, il bravo attore Michael B. Jordan. Adonis è incazzato soprattutto perché ha vissuto poco e male la relazione con il padre, il mitico Apollo Creed. Tale padre tale figlio, e Adonis decidi di darsi al pugilato visto che fin da bambino si menava con gli altri pischelli al riformatorio. Inevitabile che lui vada a cercare Balboa, ed inevitabile che Rocky, dopo delle fiacche resistenze, decida di allenarlo. Come in ogni Rocky che si rispetti, ci sono allenamenti, trombe che suonano la mitica colonna sonora, pugni, sfide, corse, ghiaccio, e sangue. Come in ogni Rocky che si rispetti alla fine c’è la sfida impossibile che viene raccolta.

Ma la bellezza del film sta nel fatto che il vecchio Silvester inizia a perdere i colpi, e la sua lotta si sposta dal ring alla vita. E allora con la sua vociona e il suo corpo ancora atletico ma vecchio, ci dona un personaggio che dimenticheremo difficilmente. Lo hanno onorato di una nomination all’ oscar che non ha vinto solo perché il bravissimo Mark Rylance di Bridge of Spies lo ha meritato di più.

Rocky è un uomo attaccato al passato e che cerca di vivere il suo presente nell’ unico modo che lui conosce; con i pugni. L’ incontro finale, girato da una steadicam direttamente dentro al ring, è fatto prevalentemente con piani sequenza e ci coinvolge dandoci la sensazione di stare proprio lì. Un momento tra tutti mi ha colpito. Si vede uno dei pugili prendere un gancio all’ occhio, e si vede subito le mani del cut man che prende la vasellina e se la prepara sulla mano….poi si vede un altro gancio al mento e mentre il pugile si gira come una trottola sputando sangue, l’ uomo all’ angolo prepara una busta di ghiaccio. Piccoli gesti che uniti al sudore, al sangue e al cuoio, fanno sorridere noi vecchi combattenti di soddisfazione. E finisce il combattimento. E l’ amore trionfa, e l’ amicizia si salda ancora di più.

L’ ultima scena è proprio sui “ Rocky steps” . Adonis sale leggero mentre Rocky arranca. Si ferma per riprendere il respiro e Adonis dice “ non ti arrendere, vai avanti” . Ti verrebbe voglia di salire ed entrare nello schermo e prendere Silvester sotto un braccio e sorreggerlo, e portarlo fino in cima.

E mentre lui dice “ si vede tutta la vita da quassù” tu lo abbracci e gli dici “grazie di tutto quello che ci hai dato Rocky”.

 

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