È tanto tempo che non ci sentiamo, dai tempi degli Oscar, di Charlie Hebdo, e ora stiamo a Cannes e ai disperati che muoiono nel mare dove noi andiamo in vacanze.
Avevo iniziato a scrivere su alcuni film, poi ho sospeso, poi ho ripreso. Insomma, ecco per ora quello che ho….e poi ci si risente.
Sono andato a vedere tempo fa American Sniper. Volevo parlarvene, ma erano i tempi di Charlie Hebdo e mettere sul piatto la storia di un cecchino chiamato dagli Iracheni “ Al Shaitan” …the devil….forse sarebbe stato troppo. Due sono le grosse conferme che escono da questo film: 1) Brad Cooper sta meglio con la barba. 2) Clint Eastwood e’ un grandissimo regista. Detto questo, American Sniper e un grande film sulla guerra, ma soprattutto sulle contraddizioni che vengono generate dentro le persone che la fanno la guerra. Come tanti Americani, Chris Kyle partì per l’ Iraq dopo la caduta delle torri gemelle. Divenne un Navy Seal, e si specializzò come cecchino. Uccise più o meno 200 nemici senza nessuna remora, chiamandoli selvaggi e dicendo più volte che avevano ragione di morire. Al contrario di quello che si possa pensare, il vecchio leone Clint ha fatto un film equilibrato, senza prendere troppo le parti, facendoci vedere quasi come in un documentario, la vita e l’ esperienza di Kyle durante le sue numerosi missioni nello shithole dell’ Iraq. Nel suo modo schietto e diretto, Clint ci mostra cosa succede nella testa di uno che uccide le persone come se fossero angurie, e ci fa mangiare la polvere del deserto.
Alcune scene saranno difficili da dimenticare come quando Kyle deve decidere di sparare o meno a un bambino in sospetto di essere una bomba umana, altre invece vanno subito relegate nel dimenticatoio come quella dove il figlio di Kyle nasce e vediamo subito che e un bambolotto con scandalo degli spettatori più attenti. Ma il film si fa vedere e invece di chiudere la tua mente davanti a tutto questo, in qualche modo te la apre visto che hai un ampia e dettagliata visione su come un essere umano trova il modo di ucciderne degli altri e accettare il tutto.
E veniamo al nostro altro film che ha vinto la statuetta dorata, Birdman di Alejandro González Iñárritu, regista di origini Messicane che amo molto. Ma prima di parlare di Birdman parliamo del piano sequenza:
Il piano sequenza è una tecnica cinematografica che consiste nella modulazione di una sequenza (un segmento narrativo autonomo) attraverso una sola inquadratura, generalmente piuttosto lunga. (preso da Wikipidia)
Birdman e interamente girato con un piano sequenza dove non solo la camera si muove dentro al movimento reale e realistico degli attori, ma indugia sul loro respiro, sugli sputi delle loro labbra, sul dolore dei loro occhi, portandoci quasi a sentirne gli odori. Michael Keaton è Riggan Thomson, attore che impersono un supereroe di nome Birdman. Ormai stufo del successo di cassetta e susseguentemente della sua vita che sta andando a rotoli, Thomson si rimette in gioco scrivendo e dirigendo uno spettacolo teatrale basato su una novella di Carver. In questo suo progetto, ruotano intorno a lui altri personaggi che diventano icone della storia stessa, e dei suoi perversi dubbi. Emma Stone e bravissima nella figlia Sam, ex drogata appena uscita dal rehab. Naomi Watts e Lesley la bella e brava protagonista femminile dello spettacolo teatrale, e Zach Galifianakis è Brandon, amico e avvocato di Riggan che lo prende sotto la sua ala e si butta anche lui nel progetto. Il film ci fa seguire le prove del gruppo costellate da dubbi, momenti d’ ira e di panico, che probabilmente contraddistinguono tutti gli spettacoli di un certo livello. Girato in una New York senza le solite riprese dall’alto che ci fanno vedere i grattacieli, ma fredda e piena di mondezza….come è veramente la città, Iñárritu non ci da tempo di comprendere, di fermarci, di ascoltare, ma ci porta sulle cascate del Niagara seduti su un cappello di paglia. Menzione speciale vorrei darlo a Edward Norton che fa Mike Shiner, un pazzo attore dedito alla recitazione realistica dove il sentire del personaggio diventa suo, e viceversa. Che dire, Birdman va visto anche se poi magari alla fine uno si chiede “ ma che cazzo è successo? “ . Va visto anche per l’epica recitazione di Michael Keaton che a mio parere non ha fatto altro che recitare una parte della sua vita. Un film che forse è più un esperimento che altro, ma che intriga come una cosa mai vista.
Ho visto anche Fortitude (e qui andiamo sulle serie TV) mega produzione di Sky Atlantic, prodotto dai Britannici e primo esperimento internazionale del suo genere. Fortitude è una paesello in Norvegia sul confine con la Russia. In realtà si tratta di una cittadina in Islanda, ma siccome c’è neve, e poi ghiaccio, e poi neve, e poi vento, e poi neve, non si vede proprio la differenza. Fortitude ha un Governatore, l’ attrice Sophie Grabol (già vista in the bridge Svedese/Norvegese), una stazione di polizia con un capo, l’ attore Richard Donner, e un centro di ricerca dove si studiano cose strane. Il tutto ha inizio classicamente con un morto ammazzato dentro casa sua. Naturalmente, visto che la città ha 4 case, la polizia è molto efficiente e arriva subito. Il corpo è sventrato e misteriosamente non si capisce come sia morto. Sembrerebbe a prima vista che ad ucciderlo sia stato un orso polare. Siccome il morto era uno scienziato Inglese, gli amici di James Bond mandano l’ Ispettore Morton (un bravissimo Stanley Tucci) per dipanare il mistero. Le prime puntate vanno avanti abbastanza stancamente. Ci sono tanti personaggi, qualche intrigo, qualche scopata clandestina, molto mistero, tanta neve. Poi, piano piano, soprattutto arrivati alla sesta o settima puntata, s’ inizia a capire che nella cittadina dove fa buio subito, i fatti che accadono hanno un motivo ben lontano da quello che credevamo. All’ improvviso ti trovi in una situazione straordinaria gestita in una cittadina claustrofobica e solitaria tagliata fuori dal mondo e te ne appassioni. Insomma, niente di nuovo o geniale, ma il twist narrativo non è male, e le ultime puntate ti tengono in tensione. Consiglio comunque di prendervi una copertina quando vi accingerete a guardare Fortitude .
The Judge è stato visto soprattutto perché il mitico Robert Duvall (odore di napalm) si è beccato un ennesima candidatura all’oscar per la sua interpretazione del Giudice Joseph Palmer. Il film è un classicone americano con Robert Downey Jr. che fa la parte dell’ avvocato bello, ricco, con una moglie che ha un culo da ragazzina (lo dice lui nel film!!), che vive a Chicago, e che è sempre stato sfanculato dal padre, appunto Judge Palmer. Il ricco avvocato deve tornare a casa nel paesello in Indiana perché muore la madre e mentre la famiglia si riunisce (ha due fratelli, uno sfigato dalla vita e uno ritardato) esce fuori un accusa per omicidio per il vecchio Giudice Padre. OK il film non è originale, e alla fine si sa come va a finire, ma si fa vedere piacevolmente. Downey Jr. è bravo a farci vivere i suoi ricordi, e i suoi profondi dolori quando si trova a confrontarsi con il burbero padre. Duvall è mitico, e nonostante io ami J.K. Simmons (che ha vinto l’ oscar) lo avrei dato a lui. Non so voi, ma quando vedo un film americano e vedo che inizia la scena del tribunale, io godo. Ho la sensazione di stare in un posto conosciuto, a casa. Sappiamo che ci saranno colpi di scena, lacrime, e che probabilmente il verdetto sarà sorprendente, o giusto, o sbagliato, ma che non ci lascerà indifferenti. Anche qui la scena principale è il processo dove il figlio difende il padre nonostante il padre continui a buttargli chili di merda addosso. Tutto questo pathos per arrivare alla scena madre, molto bella, quando il confronto tra il figlio avvocato che interroga il padre arriva al punto cruciale sia della sua storia riguardo all’ omicidio, ma soprattutto la sua storia emotiva e familiare. E poi succede tutto quello che succede nei film americani. Grandi abbracci, amori che iniziano, qualcuno muore serenamente, e la vita ricomincia in modo diverso e più bello, mentre tutti mangiano comunque un hamburger. Se avete un paio d’ ore e volete passarle piacevolmente, vedetevi the Judge. Punto.
Altra cosa è la mini serie televisiva in 8 episodi, The Honorable Woman, anche questa di produzione BBC e Sundance TV. Se vi piacciono intrighi politici tra intelligence britannica e americana e giochi politici tra israeliani e palestinesi, questa è la vostra serie. Trattasi dell’ impero della famiglia Stein, ebrei, che prima costruivano bombe, e ora investono in sviluppo di infrastrutture in Palestina. Mr Stein padre viene brutalmente ucciso davanti ai figli, e anni dopo i due rampolli prendono le redini dell’ impero. Maggie Gyllenhaal è Nessa Stein e ruba la scena a tutti. Non per nulla ha vinto il Golden Globe award per questa serie. Donna misteriosa, con un passato pieno di ombre, si porta appresso parecchi brutti momenti del passato che vengono usati per ricattarla. Recita vestita elegantemente, con un ottimo accento britannico ostentando tanta ricchezza, oppure in mutande e reggiseno mentre rivive i suoi drammi. Tra gli altri attori spiccano la babysitter misteriosa recitata da Lubna Azabal e l’ ottimo ispettore di Scotland Yard impersonato da Stephen Rea che cerca di trovare luce dove invece regna l’ ombra. Insomma se vi piacciono doppi e tripli giochi, la frase “ sicurezza nazionale” , segreti e spie, questo fa per voi. Ben fatto, incalzante, e godibilissimo.
E arriviamo a Whiplash, primo film del direttore Damien Chazellle. Storia strana la nascita di questo film. Chazelle scrisse una storia prendendo spunto dai suoi studi di batteria in una scuola di New York. La mise in pellicola e la presentò come corto in un festival. Piacque moltissimo e trovò degli investitori che gli permisero di tirarne fuori un vero e proprio film; Whiplash appunto, che per essere un opera prima è veramente notevole. La storia è presto detta. Andrew Neiman (l’attore Miles Teller, notevole) è un giovane appassionato di batteria. Fa di tutto per entrare nel Conservatorio Shaffer di New York, scuola prestigiosa dove insegna Terence Fletcher, un professore/direttore musicale famoso per i suoi modi bruschi e violenti. Come ogni pischello che si avvicina all’ arte, Neiman ha il fuoco dentro e il suo vate è il famoso batterista Buddy Rich di cui ha dischi e foto. Si allena di giorno, di notte, quasi volendo prendere la sua vita nella mani come fa con le bacchette. Incontra naturalmente il Prof. Fletcher che inizia a metterlo alla corda, lo spinge violentemente ai suoi limiti, lo umilia, lo bistratta. Nasce una relazione particolare tra i due che è il cuore del film. Neiman si allena, si spinge oltre le sue possibilità….Fletcher non è mai soddisfatto e lo costringe oltre i suoi limiti spremendone il sudore da ogni poro. Non racconto altro, ma J.K. Simmons nella parte del maestro/direttore è bravissimo e, come vi ho detto, ha vinto l’ oscar per questo. Il fascino del cinema è spesso farci vedere i punti di vista più diversi, e allenarci ad aprire le nostri menti. Whiplash lo fa egregiamente, portandoci alla domanda “ in questo caso, quale sarebbe la cosa più giusta da fare?” . Un film affascinante, girato benissimo, e recitato ancora meglio. Una chicchetta. Non ve lo perdete.
La prima scena di Olive Kitteridge ci mostra la protagonista che esce dal portico di casa sua, va sull’ erba del suo giardino e s’inginocchia. Ha un fagotto in mano. Apre la coperta e tira fuori la pistola. Taglio, buio, e andiamo a 25 anni prima. La miniserie di 4 episodi imperniati sulla vita di Olive, e tratto dal libro omonimo di Elizabeth Strout, ci porta delicatamente per mano ad essere spettatori della protagonista, una donna acida, dura, inflessibile, ma che nasconde una considerazione della vita che pochi hanno. Girato in posti fantastici del Maine, vediamo la vita apparentemente monotona di Olive e il marito Henry (un ottimo Richard Jenkins) mentre la vita gira le pagine del loro libro. Il lento procedere delle “ cose della vita” ci mostrano immagini come i quadri di Hopper dove le luci soffuse che entrano dalle finestre, corrispondono ai tagli di bui negli animi dei protagonisti. Un altro capolavoro di HBO che ringrazio perché ci ha dato il piacere e la gioia di rivedere la grandissima attrice Frances McDormand all’ opera. Lei è semplicemente divina nel cesellare Olive e nel renderla umana nel suo apparente distacco. Le ultime scene che vediamo sono di rara profondità, e credetemi se vi dico che amerete per sempre Olive alla fine.
E finisco riparlandovi di un film dove la Mc Dormand vinse un oscar grazie ai fratelli Coen. Si, Fargo. I fratelloni Joel and Ethan Coen ci regalarono questo capolavoro e anni dopo, avendo un colpo di genio, hanno deciso di trarne una serie televisiva con lo stesso nome. Diciamocelo chiaramente: un capolavoro ASSOLUTO. Ogni ripresa, ogni dialogo, ogni situazioni, sono belle e avvincenti. Quando finisce la puntata ti senti male perché vorresti vedere subito l’ altra. La storia è la stessa del film, ma più dilatata e approfondita. Nella serie, la parte che fu della Mc Dormand, la mitica poliziotta Deputy Molly Solverson (anche se nel film il nome era diverso) è recitata da una bravissima Allison Tolman con tanto di panza. Anche qui, ogni puntata ci avvolge con paesaggi bellissimi, tanta neve, e caffè americano in abbondanza, ma diversamente da Fortitude, i personaggi e gli intrecci sono superlativi raccontati con una suspense notevole. Il bastardo di turno, Lester Nygaard, che odia la moglie ed è bello viscido, è l’ attore Martin Freeman (visto nel Signore degli Anelli) che ci dona un protagonista difficile da dimenticare…ma….ma…..in assoluto il protagonista Re della serie è un grandioso Billy Bob Thorton che è il killer senza pietà che ci agghiaccia con uno sguardo e un sorrisino. Raramente abbiamo visto un personaggio così crudele e affascinante che merita il vostro tempo di visione.