Nella pretesa che leggiate I miei deliri, ho pensato l’altro giorno che generalmente quando vi consiglio qualcosa è perché a me è piaciuto e penso che possa piacere anche a voi. Questo perché, generalmente, non mi soffermo mai a dirvi delle cose che a me non piacciono, ma forse dovrei? Non so. Nel dubbio e visto che in queste feste, e con mio sommo gusto, mi sono sparato di tutto e di più eccovi una carrellata di quello che vi consiglio….e che non vi consiglio di vedere.
Inizio con l’ultimo di Woody Allen. Nonostante sia una figura importante nella mia gioventù con i suoi libri e film, ormai Mr. Allen ha poco da dire, aimè. La sua produzione annuale ormai ha i contorni di sedute psicanalitiche riuscite male. Sembra che lui, mentre beve qualcosa, elabori un pensiero e poi ci fa un film. Mi sembra uno dei quei vecchi Zii che raccontano le loro storie ma che dopo il terzo o quarto Natale diventano noiosi. Magic in the moonlight probabilmente è nato mentre lui portava a spasso il cane e si è chiesto “ma gli spiriti esistono?”. Da qui nasce un filmettino con Colin Firth and Emma Stone (bravi entrambi) che ci narra la storia di una maga/medium/sensitiva e di come un mago professionista, Firth, faccia di tutto per smascherarla visto che la considera una millantatrice. Se volete farvi due risate guardatevi Mr. Allen nell’ultimo film di John Turturro, Fading Gigolo dove con il suo accento Newyorkese (si dice così?) diventa il “pappone” di Turturro novello gigolò e ci fa fare quattro risate. Quando finisce Magic in the moonlight finisce, e non ti lascia nulla.
Lo stesso amaro in bocca mi ha lasciato Big Eyes di Tim Burton. Anche Burton che ci ha dato molto in passato facendoci sognare con creature strampalate, fantasmi e scheletri, qui mette le mani in una storia vera e fa il suo primo film “da adulto”. Narra la storia vera (ormai quasi tutti i film iniziano con questa frase…..) di Margaret Keane, mamma, casalinga e pittrice di quadri raffiguranti bambini con grandi occhioni pieni di tristezza e sogni. Come ogni artista che si rispetti, la Sig.ra Keane ha i suoi casini interiori, e la sua caratteristica è di mettersi con degli stronzi che la sfruttano in tutti i modi. Scappando da suo marito e andando in un’altra città incappa in colui che diventerà il suo secondo marito, Walter Keane, pittore di bassissimo livello ma pazzoide e geniale per gli affari. In poche parole, Walter inizia a vendere i quadri di Margaret dicendo in giro che li ha dipinti lui. Il film è una scusa per vedere all’opera due bravi attori, Christopher Waltz come Walter, e Amy Adams come Margaret. Waltz è bravo ma secondo me gigioneggia un pó troppo anche se il personaggio è particolare, e la Adams conferma le sue grandi qualità d’attrice ancora non riconosciuti da tutti. Tranne la scena al tribunale dove qualche emozione si riesce a vivere, il film sembra un lineare racconto di due persone intrecciate in una grande ingiustizia, e come ogni buon film americano, la giustizia trionferà alla fine. Pure qui un boh.
Passando dai boh ai, mah, vi parlerò invece di un film che è diventato un caso osannato da molti. Trattasi di Boyhood di Richard Linklater. Dico subito che il film narra la vita di Mason Evans Jr. (Eliar Coltrane) dai suoi 6 anni (2002) ai suoi 18 anni (2012) e di quello che succede durante la sua crescita focalizzandosi soprattutto sulle diverse relazioni famigliari che ha in particolare con la madre (Patricia Arquette), il padre (Ethan Hawke) e la sorella (Lorelei Linklater, figlia del regista). Seguiamo Mason dai primi anni di separazione della madre dal padre, nei suo problemi a scuola, i guai relazionali della madre, il rapporto con il padre e con la sorella, i primi amori, il college, ecc. Alla fine si tratta di un film americano, di un ragazzo tipico americano, in una famiglia tipica americana. Anche qui pochissime emozioni e pochi momenti indimenticabili, ma c’è un grosso MA. Il fascino vero del film è in realtà il suo progetto. Linklater ha iniziato questo film nel 2002 con un’idea molto particolare, cioè quello di seguire il vero ragazzo Coltrane dai suoi 6 in poi per una decina d’anni. Il regista ha filmato il primo anno per una settimana, accordandosi poi con tutti gli attori e i tecnici per fare lo stesso nei seguenti 12. Quindi mentre il film inizia con Mason a 6 anni, dopo poco lo vediamo a 7 , e poi a 8, come se stessimo seguendo realmente la sua vera vita. Seguiamo le sue giornate e le dinamiche con la sua famiglia e con i suoi amici, e dove l’unica cosa che cambia in modo evidente è lui e sua sorella. È come se noi andassimo a trovarlo ogni anno per una settimana fino ai suoi 18 anni. Ripeto, il film mi ha lasciato un po’ tiepidino ma non posso negare che esprima la magia intrinseca del cinema stesso. Non possiamo non sorprenderci nel vedere il ragazzo Mason/Coltrane nei suoi cambiamenti fisici e umorali e nel fascino profondo di tutto questo. La vita che s’intreccia nel cinema, e viceversa. Insomma, qualcosa di peculiare che a mio parere non è affatto un capolavoro ma sicuramente è un fenomeno da apprezzare e, perché no, da studiare a fondo.
E finisco con il primo fuoco d’artificio dell’anno, almeno per me. The Imitation Game è un film tratto dal libro di Andrew Hodges sulla vita di Allan Turing definito come matematico, crittografico, logico, e uno dei padri creatori di quel macchinario particolare che noi oggi chiamiamo computer. Un vero genio dei nostri tempi. La pellicola narra il periodo della vita di Turing quando lavorò per il Governo Britannico durante la seconda guerra mondiale aiutandoli nella de-codificazione del sistema informativo di nome Enigma che veniva usato dai Tedeschi Hitleriani per comunicare informazioni sugli spostamenti di uomini e mezzi. Non riuscendo a decifrare i messaggi di Enigma, i Tedeschi all’inizio ebbero dei vantaggi notevoli costringendo gli alleati a rincorrerli e a subire molte vittime con il rischio di perdere la guerra.
Il film è naturalmente romanzato con personaggi realmente esistiti che si muovono con l’angoscia attanagliante della loro lotta contro il tempo. Infatti, appena trovato il modo di decifrare Enigma gli alleati avrebbero potuto difendersi e vincere la guerra. Grazie ad una recitazione superlativa, eccezionale e geniale di Benedict Cumberbatch nei panni di Turing, c’inondiamo di emozioni e seguiamo la storia con trepidazione anche se tutti sappiamo come vada poi a finire. Il cast è ottimo, formato da attori più o meno conosciuti come Keira Knightley (che a me non piace proprio come recita), Matthew Goode, Allan Leech (visto in Dowtown Abbey), Charles Dance (il cattivo di Game of Thrones) e molti altri bravissimi attori del cinema e della televisione Britannica. Come vi ho già detto, il film è appassionante e risulta impossibile non amare Cumberbatch/Turing nel suo genio quasi autistico e nei suoi grossi problemi di relazioni con gli altri. Il quasi sconosciuto giovane regista Norvegese Morten Tyldum, ha vinto la sua scommessa e ha creato un film interessante appassionante con tempi perfetti e ambientazioni eccellenti. Alla fine rimane l’amarezza nel sapere che Turing, dopo aver contribuito fattivamente alla nostra libertà, è stato poi accusato di omosessualità (in quei tempi in Inghilterra era un reato) e fu castrato chimicamente suicidandosi poi dopo qualche anno. È stato riabilitato poco tempo fa come spesso accade e ora rimane a noi la tristezza di non avergli dato il giusto in vita. Io ho amato questo film e spero sarà lo stesso per voi.