Regali sotto l’albero

In fondo volente o nolente, il Natale alla fine ha senso solo per la più antica parola usata da noi esseri umani: amore. Sotto l’albero vi metto tre film da vedere e che trattano tutte e tre, in diverso modo, l’amore.

Inizio con l’ultimo che ho visto e che mi ha colpito più di tutti: “Under the Skin” del regista Jonathan Glazer con una fenomenale e bellissima Scarlett Johansson. La storia è di Laura (la Johansson), stranissima creatura, che va in giro a “caccia” di uomini per poi portarli in una vecchia casa e dissolverli probabilmente nutrendosi di loro. Ecco, questo è il massimo che vi possa dire senza svelarvi chi realmente è Laura, perché va a caccia di uomini, e come mai si “nutre” di loro. Il film è ipnotico con situazioni cupe ma che danno il senso dello straniamento che vive Lucy nei diversi momenti della sua “caccia/ricerca” . Under the skin ti cresce addosso ed è un film, dove la parola è usata veramente al minimo e quando è usata, come nel caso dei dialoghi tra Laura “autista di camioncino bianco” e gli uomini che sono rimorchiati, sono reali e prese da una cinepresa nascosta. Questo film rimarrà comunque nella mia memoria per tre cose:

1)      La bellezza fisica ed interiore di Scarlette Johansson che in questa pellicola è messa veramente alla prova fisicamente ed emotivamente,

2)      Una scena che è la più crudele che io abbia mai visto nel cinema, credetemi, senza sangue o violenza fisica. Una scena che se ancora oggi ci penso mi fa stare male.

3)      Il bellissimo e poetico finale, crudo nella sua impossibilità, che porta il cerchio a chiudersi e ci fa amare Lucy come una di noi.

A conti fatti l’argomento è stato già trattato, e anche alcune “visioni” c’erano già, ma il pacchetto è notevole e il film è stato eletto “il film dell’anno” da tanti critici e giornali.

Dalla cupezza di under the skin, andiamo un po’ più verso la luce e parliamo di “Her”. Film del visionario e genialoide Spike Jones, Her si svolge in un futuro prossimo, dove le emozioni sono catalogate. Cosa che d’altronde la pubblicità fa da qualche tempo con noi.  Theodore, un grandioso Joaquin Phoenix, è uno scrittore di lettere timido e uscente da un divorzio che l’ha devastato emotivamente. Lui lavora per un sito dove la gente, incapace di scrivere le proprie emozioni, paga per avere lettere riguardanti anniversari, compleanni, condoglianze, e tutto quello che concerne le emozioni umane. Theodore è bravo ma la sua bravura nell’esprimere emozioni cozza con la sua incapacità di viverle nel mondo reale. Viene a sapere che c’è un sistema operativo (OS) che è stato creato per interagire con gli umani. Una specie di computer che ti parla ma che ti capisce e interagisce con te. E qui entra in ballo Samantha che diventa la sua “altra metà del cielo” in formato d’intelligenza artificiale. A questo punto vi devo consigliare di vedervi Her in lingua originale visto che la voce di Samantha è di Scarlette Johansson (si…sempre lei) che è bravissima e che avrebbe meritato l’oscar.Inizia da qui la relazione d’amore tra Theodore e Samantha basata su qualcosa che va più in profondità dell’amore che noi conosciamo, e che porta Theodore a rivedere tutti i suoi confini come uomo e come oggetto d’amore. Il film è profondo e intimista, con momenti commoventi ma sempre con un livello di sensibilità profonda. Film godibilissimo, merita senza dubbio la visione come ha meritato l’oscar per la “migliore sceneggiatura originale”.

E veniamo all’ultimo ma senza dubbio più bel film della triade. “The sessions” che originariamente si doveva chiamare “the surrogate”, e sarebbe stato meglio, è la vera storia di Mark O’Brien poeta e scrittore. O’Brien fu colpito all’età di sei anni dalla polio, e da quel momento iniziò a vivere dentro un polmone d’acciaio. Davanti a qualche chilo di più molti di noi si preoccupano di piacere, pensate O’Brien, uomo colto e intelligente, quando inizia a pensare alla sua vita sessuale che in quel momento è pari a zero. Scrive un lungo articolo su un giornale esponendo le sue paure e i suoi dubbi, ed è proprio da questo articolo che il regista Ben Lewin ha tratto questa pellicola che fa ridere, riflettere, e piangere di commozione. Mark allora decide di esplorare le possibilità, e si ritrova sul cammino di Cherly Cohen Greene, una surrogata sessuale. Lei è preparata e sensibile e il suo ruolo è di aiutare i disabili a ricercare emozioni fisiche e sessuali. Come consigliere O’Brien ha un prete, Father Brendan (un ottimo William H. Macy) che con ironia e amore cerca in qualche modo di risolvere i suoi sensi di colpa. Il film, bellissimo e toccante, ci lascia con il cuore colmo di una bella storia raccontata con delicatezza e amore. Menzione speciale va naturalmente ai due attori principali. John Hawkes recita in sostanza con il viso e con la sua voce poiché deve vivere la parte di un corpo storto e inanimato come un ramo d’ulivo. Helen Hunt è la vera Cheryl Greene (che ha scritto un libro sulle sue esperienze) che trasmette professionalità e umanità poiché i dubbi a un certo punto iniziano a corrodere anche lei.

Alla fine rimane solo il solito vecchio concetto, che l’amore non ha confini fisici. Viene da pianeti sconosciuti, uomini storpi, o oggetti inanimati.

 

 

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