Qua e là, NY

Sarà la quarta o quinta volta che la vedo. Mi ricordo che la prima volta per me era il simbolo del moderno, del “cool”. Un posto che crea cose, invece che seguirle. Ora New York è vintage, sempre piena di colori e di rumore (molto e infinito) ma più umana. Sarà che tra le torri gemelle, l’uragano Sandy e un inverno durissimo, la loro sensazione di intoccabilità si è ridimensionata. Ora ti guardano, ti sorridono, anche se stanno tutti indistintamente attaccati alle cuffiette e con qualcosa da bere o mangiare in mano.

La visita alla Statua delle Libertà e a Ellis Island sembra quella nella sede Centrale della CIA: Controlli di polizia, metal detector, gestione del flusso delle persone. Il valore aggiunto è senza dubbio il simbolo storico che la statua e Ellis Island hanno avuto nelle vite di molte persone. Vedi come per loro, gli emigranti erano e sono una risorsa importante per la loro esistenza. Quanti volti, quanta gente, quante storie. La Statua della Signora non è male, ma nulla a che vedere con, per esempio, il Cristo del Corcovado.

Questa volta invece di prendere un albergo abbiamo affittato una casa a Brooklyn attraverso il sito di Airbnb. Ultimamente, visto i costi degli affitti a Manhattan, molti si sono trasferiti a Brooklyn e di conseguenza gli Afro Americani più poveri si sposteranno dalle loro case. Questo si è già visto nel Bronx e in Harlem. Noi stavamo in una zona di confine, in un quartiere che comunque sarà destinato a cambiare. La maggioranza è black, totalmente black. Tutti girano con gli i cappucci sulla testa (hoods) e con le immancabili cuffiette. Ci sono dei visi bellissimi, ma molti, soprattutto le ragazze, sono devastate da quello che mangiano. I barbieri sono dei veri e propri centri di negritudine, dove si fanno le treccine afro e dove si laccano le unghie in modi molto creativi. Il nostro immaginario è quello che il tizio nero con il cappuccio ha la pistola e tu passi, lo guardi e lui la tira fuori. Magari sarà così da qualche parte, ma noi abbiamo solo incontrato gente simpatica, gentile, piena di humor. Occhi di lavoratori, di gente abituata a piegare la testa. Gente devastata da abusi di alcol o droghe, sguardi persi nei meandri della vita.

Per andare downtown prendavamo la line C. Nella metro, si sa, si vede di tutto.La cosa che mi piace è la loro piena libertà nel vestirsi. Gonne, camicette e scarpe da ginnastica. Giacca nera, camicia nera, cravatta rosa, pantaloni verdi, scarpe bianche. Nella metro si legge, si mangia, si beve. Un tizio passava vendendo un libro che lui aveva scritto. Il titolo è ” non picchiare i tuoi figli altrimenti diventano come te” . Se gli compravi il libro lui ti faceva l’ autografo. Una mattina ho visto una signora nera che era vestita in tuta con una pelliccia, sorseggiava qualcosa di alcolico bevendo da una cannuccia. C’era anche qualcuno sdraiato a dormire sui sedili, un certo punto un rivolo di piscio ha iniziato a cadere per terra dai suoi pantaloni. Gli Afro-Americani portano spesso i cappelli con la visiera, quelli da base ball. Sulla visiera c’è un adesivo tondo con la misura e il prezzo. Non lo tolgono mai. Camminano in giro con quella cosa appiccicata sulla visiera. Non tolgono neanche i prezzi dagli ombrelli. Ombrelli con cartellini svolazzanti.

Ground Zero. So che c’è gente che crede sia tutta una macchinazione della Spectre di James Bond. Credici o no quando sei li non importa molto. Il posto è maestoso e semplice. Al posto delle due torri ci sono due cascate in marmo nero che fanno scendere acqua nel fondo. Il buco nero di New York. Intorno alle cascate, ci sono delle balaustre scure di un materiale ferroso. Sulle balaustre ci sono incise i nomi di tutte le vittime. Aerei, palazzi, pompieri, poliziotti, ebrei, cristiani, arabi, figli non nati. Nel giorno del compleanno dei morti, i responsabili del 9/11 Memorial mettono una rosa bianca infilata nella lettera dei loro nomi. Quel giorno ha cambiato le nostre vite, inutile negarlo.

La storia più strana è quella del “survivor tree” . Lo vedi bello fiorito (gli altri alberi sono ancora giovani) e senti dalle parole di un volontario la sua storia. Era stato trovato sotto le macerie ridotto un troncone. Un soccorritore, originario della Scozia ed esperto di piante, lo vede e dice ” questo è ancora vivo”. Prende il troncone e lo pianta di nuovo da un altra parte. L’ albero resiste ancora a un paio di fulmini, piogge, e una inondazione, ma ce la fa. Un albero cazzuto direi.

Brooklyn downtown è molto bello. Sembra una piccola Manhattan con case di mattoni rossi molto curate ed eleganti. Abbiamo camminato sulla promenade, una striscia di terra e sabbia, molto pulita e ben organizzata, che costeggia il fiume. Dall’ altra parte hai la visione di Manhattan. Cammini e arrivi al ponte di Brooklyn. Ti metti dalla parte dove si vede il tutto e ti ricordi dei film di Woody Allen e cerchi la panchina che c’è ancora.

Durante la vacanza ho finito di leggere un bellissimo libro intitolato “il corpo umano”  di Paolo Giordano. Parla di un gruppo di Alpini e la loro vita in Afghanistan. Parla di guerra, di dolore. E cammino per le strade degli afro americani, e come dicono in molti, c’è lo stesso dolore.

Le famiglie della middle class sono sempre più schiacciati dai sistemi economici. Le tasse sono altissime, e arrivati alla pensione devono lasciare la città e andare in un posto più economico. Ho parlato con gente che si fa due ore di macchina per andare a lavorare perché vive in un posto meno caro. Ora le banche danno prestiti ai ragazzi per pagarsi l’ università. Il prestito viene dato con l’ accordo che appena iniziano a lavorare iniziano a ripagarlo. Dunque ora l’ America ha una generazione di giovani che ancora non lavorano, ma sono indebitati. Se non trovano lavoro le banche dicono : ” OK, ti estendo di 6 mesi la prima rata” …ma alzano i tassi.

Continuano a mangiare male e tanto, troppo, ma ora per le strade trovi la possibilità di bere una centrifuga di frutta e verdura.

I miei amici Americani dicono che i giornali e le televisioni esagerano tutto. Creano paura anche dove non c’è, e loro sono stufi.

In televisione i telefilm che fanno vedere sono M.A.S.H., love boat, Chips. Gli stessi che vediamo noi, vecchi e stantii. La programmazione ricca e piena di contenuti la vedi solo se paghi. Ho visto un programma dove un tizio con una telecamera segue delle macchine della polizia in alcune città. Loro prima di ammanettano, poi ti chiedono come ti chiami. Ho visto un reportage crudo e nudo sulle celle d’ isolamento in un carcere del Maine. I carcerati per protesta si tagliano le vene e imbrattano le loro celle di sangue e merda. Appena li portano in infermeria, arriva un tizio con una tuta bianca e inizia a pulire. Era carcerato anche lui, ora ha un lavoro. ” Un lavoro come un’ altro” dice. Racconta il giornalista che uno dei carcerati, riportato nelle celle normali, ha poi ucciso un altro carcerato con 37 coltellate.

Il problema tra neri e bianchi esiste, e non finirà tanto presto. Devi solo sperare di stare nel posto giusto al momento giusto e non al contrario.

Ho visto una giovane donna che tirava fuori dei vestiti da un sacco dell’ immondizia. Ballava e cantava totalmente fatta di qualcosa. La gente passava, e lei cantava. Vedi occhi persi, corpi magri e malsani.

Entrato a prenderci la colazione a Harlem, c’ era un signore che apriva la porta. Quando sono uscito , lui me l’ ha aperta e gli ho dato un dollaro. Mi ha sorriso e mi ha detto ” God bless you son” . Si God bless America.

Il giorno di Pasqua passiamo a Harlem. Sono tutti vestiti a festa, bellissimi. Bellissimi. Ci sono file davanti a tutte le chiese. Molti turisti che vanno li per sentire i Gospel. Passiamo davanti a una enorme ” mama”  nera con le orecchie da coniglio sulla testa. Ci chiede se vogliamo essere loro ospiti nella casa del signore.

Al ritorno l’aero dell’ Alitalia era pieno di pellegrini venuti per la santificazione dei due Papi. Dopo il controllo del passaporto, siamo arrivati al nastro dei bagagli. Alcuni bagagli del nostro volo erano già li. Miracolo. Miracolo?

 

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