Lost in Copenhagen

E parto per lavoro a Copenhagen. Mi porto un giaccone pesante, la macchinetta fotografica piccola, un libro, e un paio di scarpe comode. Volo con la Swiss Air. La comandante per viaggio d’andata è una donna. Prima volta nella mia vita. Fico. Nell’ aeroporto di Zurigo c’è un ” silent room”  dove la gente si siede senza parlare, senza cellulari, senza musica, insomma senza rotture di palle.

Chissà se esiste una ” silent life” .

Copenhagen è bella, pulita, moderna, con una vibrazione giovanile. Le strade sono costruite intorno alla piste ciclabili. Nelle stazioni della metro ci sono centinaia di biciclette parcheggiate ogni mattina. Devi anche stare attento perché filano come Fausto Coppi e all’ ultimo momenti ti suonano il campanello.

Ho portato l ‘ultimo libro di Gianrico Carofiglio, ” il bordo vertiginoso della cose” . Lui è in assoluto lo scrittore Italiano che mi da più emozioni. Lo amo. In tutti i suoi libri trovo punti di vista che sono i miei, visioni e sensazioni che s’ inerpicano tra la lente deformata dei nostri sentimenti. In questo libro il protagonista torna alla sua vecchia città, Bari (Carofiglio è appunto Barese) alla ricerca di qualcosa che forse neanche lui sa cosa sia.

Il cibo a Copenhagen è notevole. Sembra che ci sia un cuoco Danese che è diventato famosissimo a livello mondiale, e ora tutti i ristoranti stanno seguendo la scia della sua popolarità. Ho mangiato piatti gustosissimi e cucinati e serviti con amore. Ho mangiato la loro specialità, l’ arringa affumicata, è ne sono rimasto veramente colpito. Buonissima. Ho bevuto anche la birra Carlsbergh. Mr Carlsbergh è una icona per loro. Ha fatto un sacco di soldi e li ha investiti nel suo paese.

Il protagonista del libro tira i pugni, ama i cani, cammina tra le strade della sua città senza riconoscerle.

Io cammino per le strade di una città che non conosco e mi perdo, e cammino nel freddo con una piacevole sensazione. Cammino e mi rendo conto che forse nella mia vita non mi sono realmente mai perso. Semplicemente non potevo. Dovevo sempre guardare a destra e a sinistra cosa facessero gli altri. Non potevo perdermi io e i miei guanti e le mie foto.

Non potevo.

E cammino e mi perdo. E mi sento strano, come se il mio corpo crescesse e si allargasse. Potrei fermarmi e dichiarare il mio amore a una ragazza che passa, oppure pisciare sul muro di una casa. Potrei perché io, a Copenhagen, non sono nessuno. Sono uno perso.

I Danesi sono gentili, ma veramente gentili. Non hanno quella gentilezza/servilismo che hanno gli Americani, o i Filippini che lavorano all’ estero. Sono aperti, chiari. Ti guardino negli occhi fissi. Molti ragazzi sono alti, magri, con barbe roscie e lunghe, e con occhi azzurri. Ti sorridono e senti il calore. Vichinghi della gentilezza.

Era in atto una campagna elettorale. Non c’erano cartelloni o manifesti. Solo dei cartoni con facce dei candidati messi intorno ai pali della luce e dei semafori. Solo dei cartoni. Basta. Avevo qualche ora libera e ho deciso di andare a vedere la cosa più famosa di Copenhagen…si proprio lei…la sirenetta. Ho camminato per qualche chilometro costeggiando il mare. Tirava vento, e il freddo entrava nei pori. E poi eccola. Uno scoglio, una statua credo in bronzo. Piccola, modesta, anonima. Ho fatto le foto alla sirenetta (donata da un ricco signore Danese) e nonostante fossi gelato ho sorriso.

I danesi ti tirano le fregature, ma con gentilezza.

Il libro ti prende per mano tra passato e presente. Ti trattiene nei ricordi che non ci sono, e nelle paure reali del vissuto. Lui è a casa, ma non è a casa sua. Va a vedere dove abitava e rimane stordito dal cambiamento. Forse è questo che accade, lo scomparire di quello che noi siamo perché il mondo va nella sua direzione. La Sirenetta ha visto anche me un giorno, ma non si ricorderà di questo.

L ‘ ultimo giorno ho fatto la foto a due ragazzi che erano usciti da un barcone a fumarsi una sigaretta. Fumavano e parlavano coperti da giubbotti e cappelli. Erano sereni e tranquilli, e avrei voluto tanto che si baciassero.

Ma non si sono baciati.

E ho continuato a perdermi per le vie di Copenhagen.

Bella Copenhagen.

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