Melancolia

Un bel giorno l’umanità si sveglia e gli scienziati avvertono che c’è un pianeta dietro il sole che non avevamo mai visto, e che ora ha spostato la sua orbita. Il pianeta, chiamato Melancolia, inizia un lento e inesauribile avvicinamento alla terra. Alcuni dicono che ci sfiorerà, altri dicono che impatterà sul nostro pianeta e distruggerà il mondo.

Justine è una donna depressa. Il film inizia con il suo matrimonio, dovrebbe essere felice, invece sente che ci sono delle “liane grigie” che la fanno camminare pesantemente. La famiglia intera è riunita. In poche scene, come in “Festen” di Thomas Vinterberg anche lui regista del movimento Dogma 95, capiamo le dinamiche distruttive dei componenti di quel nucleo. Si mangia, si brinda, ma aleggia un senso di apocalisse. Justine (una grandiosa Kirsten  Dunst) ci prende per mano e lentamente, come il susseguirsi delle onde, perde lo sguardo e il sorriso. Si scusa con il marito appena sposato dicendogli “mi sono sbagliata” e si mette a letto per anticipare il tempo della sua morte. Claire, sua sorella (una bravissima Charlotte Gainsbourg) usa tutta la pazienza e l’amore per aiutare la sorella ad uscire dal baratro.

Si vive, si mangia, si dorme, e nel frattempo nel cielo ci sono due pianeti. La luna chiara e solida e Melancolia, azzurra e inquietante.

Il marito di Claire, John (Kiefer Sutherland) guarda incessantemente il telescopio e fa calcoli. Dice alla moglie che il pianeta li sfiorerà e che dunque non dovrá preoccuparsi. Piano piano la vita scorre lentamente sotto una coltre di ineluttabilità. La faccia senza espressione di Justine ci accompagna nel baratro della depressione e della morte, la paura negli occhi di Claire che pensa al figlio Leo è quella di un’umanità che non ha ancora fatto i conti con la fine. La conoscenza di  John, che sa sempre dove sta il pianeta, si scontra con l’incoscienza degli esseri umani arrendendosi poi lui stesso alla paura che cercava di allontanare con calcoli complicati. La speranza e incoscienza di Leo ci fa ancora più male perché non sa che cosa l’umanità rischi veramente in quel momento.

Il film è a tratti maestoso con effetti digitali spettacolari e a volte ci prende per mano nel respiro sincopato di un essere umano vicino alla morte. Si fa vedere nella sua inesorabilità ponendoci davanti a situazioni che rasentano la fantascienza, ma fanno più parte della filosofia. Come ogni film di von Trier non finisce senza darti qualcosa. Lo guardi come guardi quei documentari di National Geographic dove vedi un leone sbranare un daino e ti soffermi negli occhi della vittima.

E dici “si, è la natura…ma”.

Le note di Tristano e Isotta di Wagner accompagnano immagini forti, al rallentatore, piene di simboli e di richiami. E si arriva alla fine.

Justine dice che quelli come lei non hanno paura perché sanno le cose. Le sanno.

Claire piange senza fiato stringendo al suo cuore il figlio cercando una ragione alla fine.

I cavalli, prima imbizzarriti, si calmano . Si placano.

Il vento si alza lieve per poi diventare sempre più forte.

Foglie e piume volano nell’aria.

Melancolia………

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