TV series – part 1

E finalmente eccomi qui a parlarvi di uno dei miei grandi interessi, le serie televisive. Certo, a leggerla così sembra che io sia un deficiente (e non è detto che non lo sia veramente) appassionato di soap opera o del medico in famiglia. Vi contraddico per dirvi che le serie che vedo sono generalmente anglosassoni anche se altri paesi, soprattutto alcuni Europei, stanno iniziando a produrre degli ottimi titoli. Penso sinceramente che alcune serie sono espressioni d’arte e dettano anche molte mode e spesso anche profonde riflessioni sulle questioni della vita. Sovente sono specchi della nostra società a ma spesso sono specchi di noi stessi. Eroi coraggiosi e fragili, che lottano ogni giorno con quello che la vita sbatte loro in faccia. Proprio come con noi.

Detto questo, vi do due buoni motivi (e attendo smentite) del perchè le serie televisive americane sono intriganti:

1) Sono scritte divinamente da professionisti che rasentano la perfezione in quasi tutte le scienze applicate, e non hanno timore di informarsi e chiedere consiglio alle persone che conoscono la materia. Per esempio, ormai è assodato che lo sceneggiatore principale dei “I sopranos” conosceva qualcuno molto, ma molto addentro alle cose della Mafia. Trovate script writers che sono mistici, filosofi, fisici quantistici, sciociologi, psicanalisti, biologi, e tanto tanto altro. Non a caso sono strapagati. L’industria americana della televisione si basa su di loro. La differenza sostanziale rispetto ai film è naturalmente il tempo. Avere la possibilità di più puntate e più stagioni, permette loro di scavare nei personaggi e di far conoscere al pubblico sfaccettature e pieghe nelle vite dei protagonisti che non si possono mostrare per intero in un film di due ore.

2) Sono recitate da professionisti, veri professionisti. Al contrario, per esempio, delle serie italiane dove abbondano veline, veloni, grandi fratelli e quant’altro che si buttano a recitare dopo un paio di “corsi di recitazione” e li vedi che sembrano passati per caso davanti alla telecamera. L’unica eccezione secondo me è la serie “Montalbano” dove I caratteristi sono tutti attori di teatro, molti di teatro tradizionale siciliano e la differenza si vede e si sente. Mi dicono che anche “Boris” non è male ma non l ‘ho mai visto. Idem per Romanzo Criminale. Naturalmente le serie, per chi può, vanno viste in lingua originale, e potete capire tutti il perchè. Togliete la ruggine al vostro inglese, mettete I sottotitoli (magari in inglese) e godetevi la voce di Benjamin Linus di Lost, una voce monotona, fredda, crudele, una voce del male, oppure la parlata “brookolino” di Tony Soprano (mitico James Gandolfini) che ogni due parole mette un “fuck” sia a casa che in chiesa. E non parliamo del gruppo di firefighters di “Rescue Me”, un crogiuolo di modi di dire Irlandesi, Italiani e Portoricani che farebbero vergognare il più sboccato dei nostri amici.

Detto questo vi dico subito che: a) sono tra quelli che pensano che Lost sia un capolavoro anche se ha avuto qualche alto e basso, b) ho pianto vagoni di lacrime con ER (soprattutto le prime 4 stagioni, quelle storiche) anche se poi l’ho lasciato quando è diventato troppo splatter, c) sono intrigato dall’intelligenza della serie di Dexter, d) “I Sopranos” sono un vero capolavoro. Punto.

Ci sono comunque un paio di cose importanti che dovete sapere. Prima di tutto il “pilot”. Il pilot è la prima puntata e da lì si capisce subito se la serie piacerà oppure no. Generalmente dura più del tempo normale di una puntata, e in quella puntata conoscerete tutti I protagonisti più importanti della serie. È importante perchè voi guardando un pilot capirete se la serie vi piacerà oppure no. Per esempio Lost. Il pilot di lost è uno dei capolavori passati nel piccolo schermo. Pluripremiato dal costo esorbitante di 14 milioni di dollari o si ama o si odia, d’altronde come tutta la serie.

Un’altra cosa importante da sapere è il “cliffhanger”. Vi cito cosa dice Wikipedia: “Il cliffhanger è un espediente narrativo usato in letteratura, nel cinema, nelle serie televisive e in altre forme di fiction, in cui la narrazione si conclude con una interruzione brusca in corrispondenza di un colpo di scena o di un altro momento culminante caratterizzato da una forte suspense. In genere, un cliffhanger conclude un episodio (per esempio di una serie televisiva, o di una storia a fumetti o romanzo a puntate), con l’intento di indurre nel lettore o nello spettatore una forte curiosità circa gli sviluppi successivi (e quindi il desiderio di acquistare il prossimo volume o di guardare la prossima puntata). Letteralmente, l’espressione inglese “cliffhanger” indica chi “rimane appeso a una roccia”, una situazione che rappresenta uno stereotipo della suspense nei film e telefilm d’azione”.

Vabbene, avete capito. È quel momento quando state sul divano con il bicchiere di coca cola in mano, il cane che dorme, la mano sulla coscia della tua ragazza, e finisce l’episodio e voi gridate “EH, NOOOOO…E CHE CAVOLO (per non dire altro)”.

Dunque, ogni tanto vi scriverò delle serie che più mi hanno colpito e che credo possano interessarvi, miei cari amici sensibili ed intelligenti.

 

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