Fighters and runners

Durante l’estate mi sono letto un po di libri ma due mi hanno colpito di più degli altri. Mi ha colpito il fatto che i libri parlavano delle stesse cose, da due punti totalmente diversi. È stato interessante e intrigante.

Il primo è stato  “Cuore guerriero” di Sam Sherdan. Il buon Sherdan è un giornalista appassionato di ultimate fight. In pratica i “fighters” sono quelli che provengono generalmente dalle arti marziali e per cercare gloria o soldi si buttano nelle lotte senza regole. Ogni tanto in televisione li fanno vedere. Per esempio l’octagon è una di quelle. Il ring appunto è ottagonale, con alte pareti fatte a griglia. Loro entrano e senza pietà si picchiano da pazzi con un arbitro che da una parvenza di regole. Ognuno usa il proprio stile e proviene dalla sua specialità. Roba da panico.  Sherdan, combattente anche lui, s’inoltra nei meandri della sua ricerca e affronta l’argomento come un giornalista/combattente. Va nelle migliori palestre degli Stati Uniti, va in Brasile, in Thailandia per il muay thai. Studia il Tai Chi e  va persino a studiare le lotte tra cani e galli. Il prodotto che ne esce fuori è il racconto interessante ed onesto di un mondo fatto di gente particolare che ha valori che non fanno parte della gente comune. Lottare, picchiarsi, rompersi il naso per poi abbracciarsi alla fine fa parte di una scelta, di un credo. I fighters sono fighters sempre e la loro vita è improntata su rigide regole di rispetto ed onestà che sono rari da trovare in giro. Si possono comprendere oppure no (io, naturalmente per i miei trascorsi, li comprendo profondamente) ma non si può prescindere dal capire che ogni essere umano ha dentro di se questa parte. Alla fine, summa delle filosofie di lotta, si capisce quello che poi alla fine capiscono tutti i veri combattenti e che è di conseguenza diventa la filosofia base di tutte le lotte. Nel combattimento l’avversario non esiste, lui rappresenta noi stessi. Lui è il nostro limite e bisogna solo avere il coraggio (e la preparazione dico io) di affrontarlo , o meglio…di affrontare noi stessi.

Haruki Murakami è un signore Giapponese, scrittore, artista, amante del jazz e dei gatti. È uno dei miei scrittori preferiti ed il suo indiscusso capolavoro (almeno per me) è “Kafka sulla spiaggia” del quale vi dovrò parlare un giorno. Un libro di una bellezza straordinaria. Murakami un bel giorno, per dimagrire un po, inizia a correre. Prima 20 minuti, poi 30, poi 40….insomma alla fine dopo svariate maratone arriva a fare una gara di 100 km per poi buttarsi nel “iron man” e triathon. Il libro che s’intitola “l’arte di correre” è scritto a forma di diario ed è pieno di sue considerazioni ed analisi del correre. Naturalmente vista la sua profondità, il correre diventa una metafora di ricerca e di conoscenza. Anche qui “combattiamo” contro qualcosa; il tempo, i nostri muscoli, la nostra mente e la resistenza. Come nel libro di Sherdan, i nostri “avversari” non sono altro che simboli dei nostri limiti, dei nostri difetti. Superarli o farsi superare da loro è come accettare ciò che siamo e trarre da questo grandi insegnamenti. Bellissimo il racconto sui 100 km. Lui si era sempre spinto a correre le maratone e un giorno decide di affrontare i 100 km. Naturalmente nel farli arriva al suo limiti psico-fisico (intorno ai 55 km) ma poi, quasi magicamente, trova qualcosa dentro di se ed entra in uno “stato” che gli permette di correre senza fatica. Ci racconta di sentirsi in perfetta armonia con tutto quello che fa, e non solo non sente fatica, ma arrivato al traguardo non smetterebbe di correre. Come Forrest Gump lui è riuscito ad immergere il suo corpo e nella sua mente in quello che viene chiamato nel mondo Zen “il tutto, ed il nulla”. L’armonia suprema che ti fa toccare vette mai raggiunte. La stessa sensazione narrata da guerrieri che entrano in uno “stato mentale” dove il combattimento viene guidato non da loro, ma da qualcos’altro. Narrano le leggende che i guerrieri evocavano le anime degli antichi combattenti per esserne impossessati e muoversi attraverso le loro capacità.

 

Murakami finisce il proprio libro con una dedica bellissime che è il compendio di tutta la sua filosofia. Ringrazia tutti coloro che si sono fatti superare da lui nella corsa, e ringrazia allo stesso modo tutti coloro che lo hanno superato.

 

L’altro giorno ho visto in televisione uno di questi combattimenti estremi. Pesi medi (dunque veloci e pesanti di pugno). Ad un certo punto, quello vestito con pantaloni neri tira un gancio a quello rosso e lo stende.

Il rosso va al tappeto come uno stoccafisso. L’arbitro s’ inginocchia verso di lui ed inizia il conteggio. Il rosso si alza di nuovo, sembra un po provato ma si alza. L’arbitro gli prende i guantoni e lo guarda negli occhi e poi fa il solito gesto andando al centro del ring chiamando di nuovo i due combattenti “to fight!”. Il pantalone nero a questo punto, come uno squalo, sente l’odore del sangue e si butta velocemente sul rosso per dargli il colpo di grazia. A questo punto accade la cosa che mi fa capire perché io andrò sempre in palestra a tirare pugni fino a che il mio corpo me lo permetterà. Il nero si butta verso il rosso e apre la sua guardia per tirare un altro gancio e stenderlo ed  il  rosso tira un diretto alla faccia del nero e lo mette KO.

Ricapitolando…dunque il fighter prende un gancio, va giù, viene contato, si rialza……e poi riesce a contrattaccare nell‘ unico attimo buono e tira un diretto in faccia al nero. Il nero va a terra, e non si rialzerà se non dopo la fine del conteggio.

Ecco, questo è combattere e trovare i propri limiti.

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