A volte I nostri limiti cozzano davanti agli ostacoli che pensiamo insormontabili. A volte pensiamo di amare una persona che sappiamo ci fa del male, ma pensiamo di non poterne fare a meno. Questi ostacoli sono messi li per una ragione, per darci l’opportunità di farci diventare ciò che dovremmo essere, e che a noi in quel momento non è concesso sapere.
Re Giorgio VI era il secondo dei figli di Re Giorgio V d’Inghilterra. Era il fratello di quel principe mezzo matto che lasciò il trono per amore di una divorziata Americana. Giorgio VI, per intenderci, era il padre dell’attuale Regina Elisabetta d’Inghilterra. Tutto bene fino a qui, ma il buon Bertie come veniva chiamato dalla famiglia aveva un bel limite: balbettava. Ma balbettava veramente. Ora capite che se fate il frate di clausura, o l’imbianchino, o il pecoraio, il fatto che balbettiate è per carità una situazione spiacevole e probabilmente da affrontare ma non inficierà tanto il vostro lavoro. Ma se siete un principe che probabilmente diverrà Re, beh voi capite che la situazione è un tantinello più pesante da affrontare. La bellissima e gustosissima pellicola di Tom Hooper inizia con il ”Duca di York” che s’impappina davanti ad un discorso pubblico. Le persone si girano o abbassano la testa, sua moglie (la bravissima Helena Bonam Carter in odore di Oscar) lo guarda con amore. Sentiamo le sue parole spezzate, il suo smarrimento davanti all’impossibilità di essere fluido, la sua rabbia per essere quello che è. Naturalmente ne tentano di tutti I colori per risolvere il problema, fino ad arrivare ad un pazzoide ed alternative dottore Logue che viene dalla colonia Australiana e che seguendo appunto un modo non ortodosso aiuta il futuro re a combattere per poi convivere con il suo ostacolo. Non vi dico altro, ma vi consiglio di vedere questo film pronti a vivere una storia esaltante e ve lo consiglio per diversi motivi. Prima di tutto la storia interessante e coinvolgente, che ci fa sentire partecipe alla frustrazione del Duca di York. Viviamo la sua frustrazione ma nello stesso tempo il rispetto davanti al ruolo che il destino gli ha dato. Ma soprattutto da vedere è la monumentale, ripeto, montumentale recitazione di Colin Firth e del logopedista Jeffrey Rush. Il loro rapporto non definibile, ci fa vedere le svariate sfaccettature di ciò che significa amicizia e rispetto. Ho sentito definire questo film un “thriller” e sono d’accordo. Sappiamo tutti come andrà a finire (anche perchè ci racconta un fatto storico che è di comune conoscenza) e la sceneggiature ci fa avvicinare lentamente al momento finale che attendiamo con trepidazione. È un film sulla parola, o meglio sulla difficoltà della parola, ma è anche una pellicola sulla rabbia e perseveranza di un uomo che non riusciva a raccontare una favola alle sue figlie, ma che ha poi portata l’Inghilterra per mano durante la seconda Guerra mondiale con parole piene di rispetto e di forza. Vi consiglio vivamente di fare come ho fatto io; prima l’ho visto in Italiano, e poi me lo sono sparato in Inglese. Inutile dire che in lingua originale, con l’inglese Britannico che io personalmente reputo la lingua più bella e musicale del mondo, rende tutto una vera avventura. Dunque se volte vedere cosa vuol dire recitare con la voce, con le parole, con un’alzata di sopraciglio, se volete che un attore vi trasmetta paura ed angoscia, se volete sentire la perseveranza e il rispetto del destino, godetevi questo capolavoro e soprattuto godetevi la emozionante scena finale con Rush che aiuta Firth nel discorso, e diventa un direttore d’orchestra che suona una sinfonia che ricorda la vita.