Schermo nero. Silenzio (nella platea c’erano I soliti scemi che facevano appunto gli scemi semplicemente perchè si stavano cagando sotto), buio. Si sente un uomo respirare, tossisce…cerca di accendere uno zippo. Lo zippo si accende. Paul Conroy (l’attore Ryan Reynolds meglio conosciuto come colui che è sposato con l’attrice più bella di Hollywood) ha una benda intorno alla bocca e le mani legate. Si guarda intorno, è chiuso. Chiuso vivo in una bara di legno. Mentre cerca di capire cosa diavolo stia accaduto, squilla un cellulare (un blackberry per la cronaca 🙂 e da li inizia l’incubo.
Un uomo vivo in una bara di legno sotterrata, un cellulare, uno zippo, una matita.
Lo sapete che a me piacciono le cose estreme, ma questa volta devo dire che l’avventura è stata veramente dura. Questo film, piccolo capolavoro del giovane regista Rodrigo Cortes e dello sceneggiatore Chris Sparling ti tiene inchiodato sulla sedia per un ora e mezza, e quando dico inchiodato…beh….intendo preso da un vortice di paura, ansia e attacchi claustrofobici. Conroy è un civile che lavora in Iraq. Porta I camion di viveri ai soldati ed ad un certo punto va a finire in un’imboscata. Gli tirano una pietra in testa, lui sviene e si sveglia sotto terra.
Inevitabile pensare “e se accadesse a me?”…”se ci fossi io lì dentro?”. I suoi rapitori lo chiamano, vogliono 5 milioni di dollari entro due ore per liberarlo. Voi…voi…cosa fareste? chi chiamereste? quali pressioni psicologiche usereste per convincere qualcuno che avete 90 minuti d’aria e che vi servono un mucchio di dollari per continuare a vivere? Il suo respiro diventa il nostro, la sua sete, il calore che sente intorno a se lo sentiamo sulla nostra pelle. Nello spicchio della vita di Conroy che noi seguiamo accadono tante cose, sentiamo persone, affrontiamo problemi, ma rimane un fatto: lui, noi, chiusi in una bara circondati da terra. La cinepresa si accanisce sul suo respiro, sui pori della sua pelle, sulla luce bluastra del cellulare. Si muove nell’angusto spazio come una microcamera nel nostro corpo, nei nostri organi. In uno spazio così piccolo si amplificano parole tipo “amore” o “aiuto”. Lui respira, noi respiriamo, e l’aria che ci tiene in vita svanisce, muore, come le nostre speranze di rivedere il sole. Naturalmente non vi dirò mai come va a finire, vi dico solo che il film ci fa vivere un esperienza di vita vera o falsa quale essa sia. Ci fa vivere la vera magia del cinema, e come tale va rispettato. Dunque se vi vengono a dire del perchè amate il cinema, ditegli che un regista, una cinepresa, uno sceneggiatore, un attore, e una bara….è tutto quello che ci vuole per non farvi dormire una notte intera.