Up

Ho visto Up in aereo. Bella cosa.

Poi l’ho rivisto a casa e ne sono rimasto folgorato ancora di più.

Non sto qui a parlarvi della Pixar, di Lassater, del fatto che probabilmente si staccheranno dalla Disney e stritoleranno tutti, vi voglio parlare invece del genio puro che c’è dietro quasi tutte le  produzioni della Pixar.

In Up il protagonista è un vecchietto, Carl Fredricksen la quale immagine è ripresa dalla faccia squadrata di Spencer Tracy. Ha tutto quello che serve: la dentiera, la zoppía (cammina con un bastone), il classico mal di schiena, oltre al fatto di essere acido e asociale.

Carl vive in una vecchia casa piena di ricordi, piena di quadri, d’immagini, d’oggetti. L’inquadratura ci porta in giro nella casa e poi si sofferma su un vecchio album di foto da dove parte la genialità del film e dove inizia la più bella sequenza d’amore degli ultimi anni. Senza una parola, ma solo con la musica di Michael Giacchino (molto bella e vincitrice di un oscar) in dieci minuti viviamo la vita e l’amore di Carl. Una sequenza d’immagini ci raccontano un’esistenza. Vera poesia. Un inizio ed una fine, che ci fa comprendere che dietro sto vecchietto rompipalle, c’è un animo pieno di colori, e avventura, e amore vero. Poi c’è l’avventura. Carl conosce (o meglio, accetta) Russell, un bambino scout piccolo e cicciottello, e con lui inizia un’avventura che li porterà ad incontrare cani parlanti, tacchini in technicolor, uomini cattivi, dirigibili, e tanto eroismo e coraggio.

Alla fine dopo averci fatto perdere il respiro con colpi di scena ed inseguimenti, I “pixar men” ci portano per mano nel cuore degli uomini. Ci fanno vedere che il passato ha radici profonde, ma a volte bastano dei palloncini colorati per farlo volare.

A volte il passato va liberato per avere l’opportunità di crearne un altro.

Pop corn, coca cola, rutto libero, e volate anche voi con Up.

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