Avevo letto in giro che era un bel film. Si dice comunemente “acclamato dalla folla e dalla critica”. Il regista, tale Anton Corbijin olandese e che nasce dai video clip (come ormai il 90 % dei nuovi registi) ci racconta la storia dei Joy Division, o meglio dire la storia del loro cantante Ian Curtis. I Joy Division era un gruppo inglese post punk degli anni 77. Una specie di Sex Pistols ma più “normali”. Come la maggior parte dei gruppi rock, al principio erano un gruppo di amici dove stagliava il cantante Ian Curtis, giovanissimo impiegato dell’ufficio del lavoro di Manchester. Fino a qui dunque una storia normale, direi quasi banale. I ragazzi s’incontrano, suonano e fanno i primi concerti. Ian Curtis è un tizio un po disadattato (iconografia del genio rock), ruba medicinali e s’ingozza con un suo amico di tavor e altra mondezza chimica. Mettiamoci poi qualche canna, i primi vinili di Iggy Pop e David Bowie, e sembrerebbe un film storico di una rock band, ed invece non è cosi’ . Il film, in bianco e nero, ci fa vivere i piccoli passi verso il successo del gruppo, e i piccoli passi pieni di dubbi ed incertezze di Ian Curtis. I suoi desideri, i suoi pensieri che mette nei testi dei brani, il suo amore verso la futura moglie, e il dramma personale mai risolto della sua epilessia.
Nel film si seguono i concerti dei Joy Division, e si rimane affascinati dai movimenti e dagli sguardi dell’ attore che recita la parte di Curtis. Si nota il suo sguardo perduto, la camicia bagnata di sudore, i suoi movimenti sincopati con le braccia a mulino, un ballo dove probabilmente lui voleva impersonificare se stesso epilettico, quasi a volerla scacciarla via rendendola ridicola.
E poi l’incontro con l’ impresario, i primi passaggi televisivi, la nascita della figlia di Curtis, e il suo nuovo amore per una giornalista conosciuta durante un concerto. Si capisce che la spirale inizia a girare male verso la fine. I Joy Division sottoscrivono un contratto con una major statunitense. Devono andare negli states per diversi concerti e passaggi televisivi. Qualche giorno prima Ian Curtis entra nella casa dove abita sua moglie e sua figlia e s’impicca al soffitto usando una corda. Aveva 23 anni. I joy division finiscono, ma rimane la loro musica che è di notevole qualità. Insomma il film non è male. Fatto molto bene, cupo quanto basta, musica bellissima, ma qualche giorno dopo ho veramente capito cosa abbia significato “Control” per me.
Dopo qualche giorno appunto, mi butto su google e digito “ joy division” e navigo tra trattati di wikipedia e qualche sito di fan. Ne trovo un paio su youtube e ci vado. E rimango veramente colpito da quello che vedo.
Vedo i veri Joy Division che cantano in un passaggio televisivo, sulla BBC. Lo stesso del film. Si vede Ian Curtis che canta, che ha lo sguardo perso, che ha la camicia nera bagnata di sudore, che fa quel ballo strano, ipnotico, pieno di dolore e di richiami ancestrali. Mi fermo. Quello è Ian Curtis , o Ian Curtis è quello del film. Si, l’ attore …… è stato premiato dappertutto, si è immedesimato talmente bene nel personaggio che è diventato lui. Abbiamo visto Jack LaMotta-De Niro, abbiamo visto veri Ray Charles, Edith Piaf, persino cloni di Giovanna d’ Arco. Ma io chi ho visto veramente?
Se non fossi andato a cercare i filmati su internet, saprei comunque come era, come cantava, come ballava Ian Curtis. Quello era la mia realtà che fino a quel momento era la mia unica realtà. Un po il concetto che la verità non sempre è il vero, ma dipende dalle sfumature. Qui quello che ho vissuto è stato notevolmente diverso. Non è solo la questione di vivere una recitazione talmente capillare che diventa essa stessa realtà, ma bensì una finzione che è realtà fino a che non si vede la realtà vera.
Insomma, Control mi ha dato tutte le informazioni, grazie alla sceneggiatura, regia e recitazione, della storia di un uomo. Ciò che in quel momento è finzione, è di fatto una realtà. Una finzione che rasenta la verità. Rimango colpito dalla forza di questa dicotomia, ma soprattutto dalla consapevolezza che mi viene sbattuta in faccia in quel momento.
Io vedo il vero Ian Curtis che si dimena sullo schermo di un computer, ma ne ho visto uno uguale sulla mia telvisione. Sono identici, veri, perfetti….entrambi. Ma uno è verità, l’altro è finto. Quante volte, mi chiedo, quante volte io, noi, ci siamo fatti colpire da una finzione, vivendola per una verità. Quante delusioni in meno avremmo potuto vivere se non avessimo vissuto questo. Quanti amori immaginari. Quante volte non avremmo potuto dire “mi hai deluso, credevo tu fossi diverso” . Forse è questa una delle bellezze della vita, uno dei misteri che nonostante le cicatrici ci da la voglia di guardare gli occhi di qualcuno e chiederci “ ma quello che sta dicendo, fa parte di quale realtà?