Torno dalla palestra. Mi cucino qualcosa che mangio davanti alla TV. È morta Eluana Englaro, una tizia invasata ha tirato un bicchiere ad un tizio invasato. Ci sono il barista, la commessa, il fisioterapista che cercano il fattore X. Esco. Fa freddo. Mi vado a vedere “Valzer con Bashir”. Da quando uscì a Cannes questo film mi chiama, e io rispondo.
Siamo in 7 nel cinema, sono l’unico che sta da solo. È una storia di guerra, ma soprattutto una storia sulla memoria e sulla rimozione della memoria.
Il protagonista all’età di 19 anni era stato arruolato nell’esercito israeliano durante la guerra nel libano. Finita la guerra lui ha vissuto la sua vita, proprio come noi viviamo le nostre. Lui ha rimosso tutto quello che era accaduto, proprio come facciamo noi a volte.
Il film è la lenta ricerca della sua memoria. È un cartone animato dove il sangue disegnato è rosso, e gli occhi sembrano veri, ma per questo motivo è ancora più duro. Mentre cammina a ritroso nel suo passato, va a cercare I suoi ex commilitoni e chiede loro di riempire il suo vuoto con le loro memorie. Come un filo d’Arianna lentamente lui ricorda. E capisce anche perchè lui non avrebbe voluto farlo.
Il Colonnello Kurtz (Marlon Brando) in Apocalypse Now tocca le vette della perfezione durante il suo monologo sull’orrore. Ve lo ricordate? Ecco, qui è lo stesso. Qui ci sono sguardi , mosche che ronzano, urla strazianti delle madri che non hanno la forza di vedere lo scempio sui corpi dei loro amori. In una scena a lui viene raccontata una storia: un soldato, fotografo di professione, mentre pattuglia la città non fa altro che scattare appunto fotografie. Fotografa tutto ciò che incontra sul suo cammino. In realtà, lui tenta di porre una distanza tra se stesso e ciò che è la realtà. Non può accettare l’odore o la vicinanza, lui vuole vedere la realtà su un foglio di carta fotografica. Possibilmente lontana. Durante una pattuglia il suo gruppo entra nell’ippodromo di Beirut. È stato raso al suolo. Ci sono dei bellissimi cavalli arabi dell’ippodromo per terra. Alcuni sono morti, alcuni feriti mortalmente. Lui entra con la macchina fotografica ma non riesce a fotografare nulla. Guarda quegli animali, imponenti e fieri, e capisce che gli uomini non risparmiano nulla. L’orrore. Ed in quel momento lui impazzisce. Davanti agli occhi di un cavallo perde ogni punto di riferimento.
Ecco, questo è il film. Ne siamo tutti protagonisti. Il finale è straziante, esci dal cinema e vorresti sparire dal mondo. Lui, cartone animato, guarda con I suoi occhi azzurri l’area di Sabra e Chatila, e poi improvvisamente, da disegni animati il film diventa una sequenza d’immagini vere. Donne che urlano, una bimba crivellata di colpi giace per terra nella polvere, la sua mano è posata a terra come se dormisse. Gli stessi sguardi di Sebrenica, di Gaza, dei Tutzi e Hutu. La storia, gli uomini. Quegli uomini siamo noi che ci fermiamo e che non guardiamo. Noi che ci svegliamo bagnati di notte dopo un incubo, o quando pensiamo che I Rumeni sono tutti delinquenti, o quando sentiamo il grido di bisogno di qualcuno ma poi giriamo la testa. Noi e I nostri orrori nascosti, allontanati, analizzati, e affrontati raramente.
Cammino per strada e torno a casa. Fa freddo e lo farà per molto tempo. Forse la tizia invasata continua a tirare I bicchieri mentre altri cantano cercando di diventare eroi. Si, forse è questa la lente attraverso la quale fotografiamo le nostre vite. Vorrei mettermi nel letto e sparire, scomparire per non far parte di questo cazzo di posto. Mi addormento. Sipario.